In Sala. Woman in Gold
Simon Curtis tenta di replicare il successo della formula di Philomena con risultati poco incisivi.
Tratto da una storia vera, sui grandi schermi è la volta di Woman in Gold di Simon Curtis – il regista londinese di Marilyn (2011) – , pellicola che segna il ritorno della sempre splendida Helen Mirren. Ma non lasciamoci ingannare dal titolo: la “donna in oro” non è lei, nonostante fama e talento possano giustificare un’affermazione simile.
La “Donna in oro” è un prezioso dipinto di Gustav Klimt, appartenente a Maria Altmann, ebrea. La donna è costretta a fuggire da Vienna dopo l’arrivo dei nazisti che, saccheggiando la sua abitazione, trafugarono anche il quadro, in seguito restituito al governo austriaco. Dopo cinquant’anni la coraggiosa Altmann sfida le autorità austriache affiancata da un giovane avvocato e chiede che le venga restituito come forma di risarcimento per tutto ciò che lei e la sua famiglia hanno dovuto subire.
Sembra ripassare matita su quanto già disegnato da Stephen Frears nel sorprendente Philomena, sembra rievocare l’ombra di Judi Dench ed evocare le stesse atmosfere quest’ultimo lavoro di Curtis: niente di nuovo, dunque, all’orizzonte cinematografico per questa settimana. Nonostante il cineasta si possa avvalere del magnetismo di una professionista come la Mirren a cui basta uno sguardo per scaldare o gelare centinaia di anime in visione, il film è sicuramente poco incisivo. Snodandosi tra il lavoro di denuncia e il legal-drama, affogati in un mare di nostalgica rievocazione, Woman in gold non spicca mai il volo, zoppicando sul terreno del didascalismo registico e dialogico.
Non basta la Mirren, non basta il suo aiutante Ryan Reynolds (tra l’altro nemmeno troppo a suo agio nei panni di un giovane ed impacciato legale). Il prodotto è pesantemente confezionato così da negare l’emozione più sincera e soffoca anche la legittima rabbia che protagonista ed empaticamente il pubblico dovrebbero provare. Linea processuale e indagine introspettiva fanno acqua un po’ ovunque. Curtis non approfondisce, non arricchisce l’accaduto né lo esplica in maniera esaustiva: si limita a raccontarlo, anche con un pizzico di noia. Dimenticato non appena terminato.