Prendi quattro super attori over 60, portali a Las Vegas per festeggiare un addio al celibato, e la versione matura di Una notte da leoni è servita. Per Last Vegas Jon Turtelaub (conosciuto soprattutto per i due Il mistero dei templari e Il mistero delle pagine perdute) schiera la formazione Michael Douglas, Robert De Niro, Morgan Freeman e Kevin Kline che potrebbe già di per sé valere il costo di tutto il biglietto, se non fosse per il rischio disastro che aleggia per tre quarti del film e che fa stare quasi con la paura di vedere ad ogni momento scene imbarazzanti; forse, proprio perché ad interpretarle sono quei quattro grandissimi.

Quattro amici d’infanzia, ciascuno segnato dalle proprie esperienze di vita, si ritrovano a Las Vegas per festeggiare l’addio al celibato di Billy (Douglas), che sta per sposare una donna più giovane di trent’anni; nonostante le forti rimostranze, anche lo schivo Paddy (De Niro) viene tratto con un inganno nella città del peccato, configurandosi da subito come il naturale antagonista del futuro sposo. Mentre Archie (Freeman) è deciso a godersi la vita dopo un infarto – cedendo ai piaceri del gioco, della danza e dell’alcol – e Sam (Kline) spera in una scappatella autorizzata dalla moglie, i due amici/nemici tentano di risolvere questioni personali sorte dopo la morte di Sophie, donna amata da entrambi e diventata moglie di De Niro.

Ad aiutarli a scavare nei propri sentimenti arriva Diane, adulta cantante di casinò che i quattro amici incontrano per caso, e che da subito si lega particolarmente sia a Billy che a Paddy. Il rapporto tra i tre diventa sempre più il motivo portante della storia, sicuramente quello maggiormente si fa portavoce delle buone intenzioni del film; al di là dei siparietti comici forniti soprattutto da Freeman e Kline – in verità mai ridicoli ma pur sempre “sprecati” nei due ruoli secondari – le pieghe più interessanti si nascondono proprio nelle vicende sentimentali tra Douglas e De Niro, ai quali del resto non si può eccepire nulla in termini di performance.

La sceneggiatura di Dan Fogelman non ha certo grandi pretese, si accontenta di far risaltare la bravura dei suoi interpreti e le caratteristiche dei personaggi tralasciando la qualità delle situazioni scelte per mostrarli e della trama tutta, ovviamente scontata. È già tanto che quell’alone di imbarazzo e quel rischio disastro rimangano solo un brutto presagio, che anzi svanisce sempre più verso il finale.