La distribuzione che non ti aspetti: I Wonder Films e Unipol Biografilm Collection portano in Italia un titolo che dalle nostre parti non ha avuto la risonanza (meritata) che lo ha contraddistinto negli Stati Uniti. Stiamo parlando del vincitore del premio Oscar come Miglior Documentario, Citizenfour, della regista Laura Poitras, una dei tre “autori” del Datagate.

Nella tarda primavera del 2013 a Hong Kong, grazie alla caparbietà della stessa Poitras, scatta uno dei grandi scandali dell’era dell’informazione: l’analista della NSA (National Security Agency) degli Stati Uniti d’America, Edward Snowden, incontra la documentarista e il giornalista Glenn Greenwald per raccontare una storia agghiacciante con noi come protagonisti. La temuta sorveglianza di massa esiste.

Snowden si aggiunge alla schiera di whistleblower appartenenti alle forze dell’ordine degli USA, già il secondo sotto l’amministrazione Obama (la prima fu Chelsea Manning per il Cablegate di WikiLeaks), racconta e consegna ai fidati giornalisti documenti e storie su come la NSA abbia creato un impero con lo scopo di raccogliere ogni dato possibile immaginabile sugli utenti della rete. E non solo.

Una verità da fantascienza, realtà vissuta con distanza dai lettori trovatisi di colpo a chiedersi se il loro computer fosse sorvegliato o meno, con la complicità dei grandi colossi informatici. Citizenfour colma il gap tra utente e verità con l’inserto del fattore umano: Edward Snowden stesso. Laura Poitras ritrae la persona, scaccia i dubbi sui suoi risentimenti verso gli USA, ogni accusa mossa contro di lui.

L’Academy ci ha visto giusto: Citizenfour è un grande esempio di fusione tra arte cinematografica e di giornalismo d’inchiesta, occasione sfruttata al massimo, con quadri all’apparenza decorativi con più significati di quanto sia possibile cogliere al primo sguardo. Una visione che richiede di essere ripetuta, integrata, ma più di tutto ricordata, perché la regista vuole lasciare il segno.

Un dettaglio non indifferente, peraltro obiettivo raggiungo, se pensiamo a documentari simili il cui scopo è dare spazio solo a sensazionalismi e immagini toccanti che non mostrano in alcun modo la presenza di una persona dietro la macchina da presa. Laura Poitras è presente, si è messa in gioco, ha rischiato la sua libertà e lo ha fatto per due motivi: il cinema e la verità. Una congiunzione che non deve andare perduta, perché questo non è cinema verité, ma la realtà espressa attraverso le immagini.