In Sala. Big Game
Una coppia improbabile quella formata dal temerario Oskari e dal Presidente degli Stati Uniti dispersi in una foresta finlandese, in fuga da un gruppo di terroristi che gli danno la caccia.
Oskari (Onni Tommila) si prepara al giorno più importante della sua vita, quando all’alba del suo compleanno potrà diventare finalmente un uomo: ma solo dopo aver affrontato per un giorno e mezzo le insidie della foresta finlandese che a suo tempo fu la stessa che consacrò suo padre (Jorma Tommila) come il cacciatore migliore di tutti i tempi. Sta a lui oggi meritarsi questo titolo e rappresentare il nuovo punto di riferimento della sua comunità, uscendo dalla foresta vittorioso, e aver cacciato un cervo da portarsi in groppa.
Nello stesso giorno però l’Air Force One diretto in Finlandia e con al suo interno il Presidente degli Stati Uniti (Samuel L. Jackson) è vittima di un inaspettato attentato terroristico. È la guardia del corpo del Presidente, Morris (Ray Stevenson), a mettere in salvo l’uomo più importante degli Stati Uniti d’America lanciandolo in una capsula, che si disperde tra gli alberi di una foresta. È in quel momento che Oskari si trova ad aver “catturato” una preda molto più preziosa e scottante di un cervo.
Big Game si diverte a mescolare, abbandonandosi al piacere della narrazione, il genere del racconto di formazione e l’avventura: un binomio che non può che strizzare l’occhio ad un cinema che parla soprattutto ai più giovani. Il bambino che si fa uomo, il lieto fine e l’insegnamento da portare a casa, per fortuna non troppo moralistico, sono gli ingredienti indispensabili e necessari per un film che sa discretamente insidiare anche qualche sfumatura da thriller, scegliendo come cornice della vicenda il ben noto filone del complotto. Alla base della storia, seppur non mancano sbeffeggiamenti alla diplomazia americana, sempre nel limite del politicamente corretto, dovrebbe però esserci la costruzione e la fiducia del rapporto padre-figlio, visto come indispensabile tappa di crescita nel passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta.
Per quanto infatti sia degna di nota la capacità di sperimentazione di Jalmari Helander, che riesce a rendere fresco un film per lo più di genere nonostante qualche cliché e qualche situazione “telefonata”. Purtroppo Big Game corre il rischio nella sua seconda parte di lasciarsi andare troppo all’azione e di dimenticare la vera storia da raccontare: un cambio di rotta che ne fa un esperimento cinematografico discreto ma riuscito a metà.