Vincenzo Rabito, nato a Chiaramonte Gulfi, Sicilia,  nel 1899, era un contadino e semi-analfabeta. Una persona qualunque, ma con tante avventure da raccontare, col dono di aver avuto l’incredibile forza di volontà di buttar giù con una vecchia Olivetti ben 1027 pagine di memoriale. Ogni parola separata dall’altra con una punteggiatura che rende la lettura sempre più difficile, ma che involontariamente sottolineano il lessico d’un uomo che quando non aveva parole, le trovava grazie alle sensazioni dategli dai suoni.

Nel 2000 i suoi figli, a molti anni dalla morte di Vincenzo, dopo aver scoperto l’enorme diario, inviano il memoriale alla giuria del Premio Pieve, subito colpita dal racconto di una storia attraverso gli occhi di uno degli “ultimi”. Si disse che non sarebbe mai stato pubblicato, il “capolavoro che non leggerete mai”. L’Einaudi contraddisse tutti nel 2007 pubblicando l’opera, riducendola della metà, ma cercando di mantenere il senso e la bellezza ruvida di Terramatta.

Questo era ed è il titolo affidatogli, non solo del diario, ma anche del film documentario diretto da Costanza Quatriglio, anche lei siciliana di nascita, in questo momento in streaming per l’Italian Films UK. Portare al cinema una storia come quella di Rabito in formato di documentario non è impresa facile e la Quatriglio sceglie la via del contrasto, mettendo a confronto immagini d’archivio, note e meno note, con le piccole memorie di Rabito.

Il discorso tuttavia, per quanto sia interessante alla base, alla lunga diventa difficile da seguire, la sequela di immagini si rivela essere ripetitiva e la voce narrante mostra il collo allo spettatore: un’opera che nel suo insieme funziona, tagliata ancor di più, non riesce a rendere l’imponenza del lavoro di memoria dell’anziano Rabito. Più che un documentario, sarebbe stato interessante vedere cosa ne sarebbe uscito se Terramatta avesse subito il trattamento del film di finzione, magari in grande stile come con Novecento di Bertolucci.