Editoriali "Cinema"

Il nuovo che avanza: la Cina

Fausto Vernazzani

La Cina vince la corsa: il botteghino asiatico primo a Febbraio, con gli USA per la prima volta nella storia al secondo posto.

 

Possiamo permetterci di essere retorici e banali, calpestiamo terre mai toccate da piede umano: il drago ha combattuto contro l’aquila e ne è uscito vincitore. La Cina raggiunge un traguardo storico: il botteghino nazionale di Febbraio ha superato di dieci milioni di dollari gli incassi del box office statunitense. In Asia 650 milioni sono entrati nelle casse dei cinema, in America “soltanto” 640, creando un nuovo record da tenere a mente negli anni a venire: gli Stati Uniti d’America non sono più l’unico potenziale monopolio del mercato cinematografico.

Ha giocato a favore di Pechino il capodanno, un periodo fertile come il Natale in Occidente, con uscite quali The Man from Macau II con la star nazionale Chow Yun-fat, il fantasy Snow Girl and the Dark Crystal, la co-produzione internazionale di Jean-Jeacques Annaud Wolf Totem e, più di tutti, Dragon Blade di Daniel Lee, film in costume con Jackie Chan e due stelle del firmamento hollywoodiano non proprio nei loro anni migliori: John Cusack e Adrien Brody. Grazie a loro la Repubblica Popolare Cinese si è imposta: lo sguardo dei mercati è obbligato a guardare a Oriente.

Non arriva certamente come una novità, sono diversi anni che il successo di numerosi blockbuster dipende dalla sua uscita nelle sale cinesi, arrivando a spingere grosse produzioni a girare svariate “fette” dei loro successi in regioni asiatiche. Avengers: Age of Ultron è stato girato in parte a Seoul, Transformers: Age of Extinction creato da zero per soddisfare i mercati cinesi con attori, scenari e product placement più in ideogrammi che in alfabeto nostrano.

Questo perché il numero di sale in Cina cresce a vista d’occhio, l’economia procede a passo spedito – anche se segnali negativi sono arrivati persino da loro – e gli Stati Uniti, con tanto di Europa, non sono più sufficienti a soddisfare le necessità degli studios. Hollywood dovrà far sue le stelle della bandiera di Pechino, a Li Bingbing non potrà più toccare solo un ruolo secondario, Chow Yun-fat non sarà un pirata di second’ordine, il futuro vedrà quanto la fantascienza ha più volte predetto: la fusione della cultura americana e cinese.  

Potrebbe essere visto come un segnale positivo, la cultura asiatica dovrà essere assimilata per far sì che il mondo del cinema come lo conosciamo possa continuare a esistere, ma così facendo sia l’uno che l’altro dovranno rinunciare a un tratto “distintivo”: la censura in Cina ad esempio è un limite non indifferente e loro stessi potrebbero dover iniziare a produrre film da esportare negli USA senza dover più contare solo sulle loro forze, espandendo il proprio potere e abbandonando caratteristiche che la rendono patria di una delle cinematografie più interessanti.

Difficile predire quanto accadrà in futuro, quando Jack Ma, padre del colosso dell’e-commerce Alibaba, approdò in California mesi fa, fu una corsa all’oro, l’intero mondo dell’industry si lanciò verso di lui per convincerlo ad acquistare parte dei loro business. È chiaro che Hollywood per respirare ha bisogno della Cina e questa necessità è oggi palese. Domani potremmo avere un Hong Kong International Film Festival alla pari di Cannes e Berlino, Brad Pitt con una seconda casa sulle montagne dello Yunnan, George Clooney sulle rive del fiume giallo e Aaron Kwok steso sulle spiagge di Malibù.



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