Il meglio del 2012: La Top Ten di Fausto Vernazzani
Il meglio di tutto ciò che riguarda il Cinema del 2012 secondo Fausto Vernazzani
Odi et amo, buttar giù delle classifiche sul meglio dell’anno passato è un po’ come quando da bambini giocavamo con le figurine: si prende il mazzo dell’ “amico” e rapidamente le si guarda – e più sei svelto più incuti timore – e tra te e te sussurri con soddisfazione “Ce l’ho, ce l’ho” con un profumo di vittoria sotto il naso che nemmeno il Napalm ti può far sentire. Le si ama o le si odia, le liste dei migliori film dell’anno, ma il più delle volte si trasforma in una gara a chi ha visto più film d’autore degli altri, o più blockbuster, o più film in generale per mettere un punto e a capo a qualunque contesa. La verità è che questo genere di “corsa” l’ho sempre amata, è una spinta al miglioramento della propria conoscenza del Cinema, ma come qualunque altra competizione, è sempre bene andare un po’ oltre e riflettere anche su ciò che si sta facendo.
Perché dunque non parlare di tutto ciò che circonda l’industry posta da noi in esame giorno dopo giorno? Perché fare un semplice commento ai prodotti finali e non esser più maturi e andare dunque a guardare al mondo che avvolge i film da noi amati/odiati nel corso di un lungo anno? Per questo motivo su Scene Contemporanee, come avrete potuto vedere sul sito negli scorsi giorni, le nostre classifiche sono spezzate in 5 film e 5 elementi extra, del davanti e dietro la macchina da presa. Ed ecco dunque la mia personale classifica.
10. DVD Regione-2: Al primo posto del peggio del cinema del 2012 vi è il mercato della distribuzione italiana, è ancora difficile credere a quanto quest’anno sia tutto peggiorato. Moonrise Kingdom, Prometheus, The Dark Knight Rises e vari blockbuster usciti a distanza anche di mesi dalla distribuzione internazionale, meccanismi incomprensibili che han reso vana persino la vittoria di Matteo Garrone al Festival di Cannes, premiato dalla Giuria e poi portato nelle sale con il suo Reality solo 4 mesi dopo. Da qui il decimo posto del meglio: la globalizzazione, l’Unione Europea, la Regione 2 dei DVD spediti dai vari paesi di questo bellissimo continente con una rapidità che nulla ha da invidiare ad un ordine effettuato su qualunque piattaforma nazionale. Se il Cinema che vogliamo non viene a noi, noi andiamo a quel Cinema, spedito dai paesi stranieri per permetterci di recuperare perle che altrimenti rimarrebbero chiuse nell’ostrica troppo a lungo.
9. Third Window Films: la TWF non è molto conosciuta in Italia, ma nel Regno Unito, dove ha base, è una delle fonti principali da cui attingere per il mercato distributivo del cinema asiatico. Per quanto Adam Torel, direttore della TWF, non abbia vissuto un anno facile con la chiusura della distribuzione in sala dei titoli del suo catalogo, ha reso un servizio straordinario per tutti gli amanti di un cinematografia che per quanto sembri strano, continua a diventar sempre più difficile da reperire a causa della pirateria in crescita. Tuttavia è la TWF che dobbiamo ringraziare per Kotoko, vincitore della sezione Orizzonti di Venezia nel 2011, capolavoro di Shinya Tsukamoto distribuito solo in Giappone e UK, unica chance per vedere il film in una lingua comprensibile ai più. Stessa cosa vale anche per Himizu di Sion Sono, il doppio DVD con Tetsuo e Tetsuo II: Body Hammer, il ritorno di Sogo Ishii Isn’t anyone alive? e la collezione Satoshi Miki. Titoli straordinari che altrimenti non avremmo mai visto. A giudicare dalle uscite del 2013, la TWF sarà anche nella lista del prossimo anno.
8. Reality: Non sono mai stato un grande amante delle produzioni italiane contemporanee, ma Matteo Garrone è riuscito contro ogni aspettativa a scalare le vette del grande cinema internazionale, con il suo crudo e sincero racconto della realtà fittizia della televisione italiana e del suo effetto sulle masse. La triste storia del protagonista interpretato dall’eccellente Aniello Arena è una discesa nella follia scatenata dall’elettrodomestico più dannoso presente nelle case di tutta Italia, ma a render un capolavoro il film del regista di Gomorra è quella fotografia perfetta realizzata da Marco Onorato che esplora la periferia napoletana riuscendo a dar sostanza alla regia fiabesca, un incontro di opposti che ha dato vita ad una pellicola sul cui negativo si riflette l’inconsistenza della reality tanto amata dal popolo dello Stivale.
7. Nina Hoss/Anna Mouglalis: Il settimo è il mio momento polemico. L’una protagonista del capolavoro di Christian Petzold, Barbara, l’altra dell’ottimo esordio alla regia dello sceneggiatore de I misteri di Lisbona, Carlos Saboga, con Photo. Entrambe straordinarie interpreti di ruoli senza esagerazioni, senza estenuanti eccessi psicologici, ma semplici burattine di storie scritte dai due autori con una maestria quasi inumana. Scandaloso vedere un altro anno passare con l’ennesima distinzione del miglior attore e della miglior attrice, come fossero due mestieri lontani, ammissione (e sottomissione) al sistema hollywoodiano in cui spesso la schematicità imposta dagli Studios esige una differenza d’importanza tra i due sessi. E’ per questo motivo che, colpito dalla recitazione della tedesca e della francese, mi sento in dovere di applaudire ancora più forte per quelle che ritengo essere le migliori interpreti dell’anno, a cui seguirà il sempre ignorato Sir inglese Toby Jones.
6. Il ritorno all’epico nella Fantascienza: Quali che siano i gusti di ognuno, il 2012 ha visto un fantastico ritorno delle grandi storie nel cinema di fantascienza. Sembra quasi di quotare Quentin Tarantino, in quel suo breve elogio a Prometheus prima della stroncatura fatta al The Late Late Show di Craig Ferguson, ma per quanto io non condivida l’opinione sull’ottimo lavoro di Ridley Scott, son d’accordo più che mai con la sua precedente dichiarazione. Il cinema di genere vive una vita sempre più difficile, mai ha goduto del giusto rispetto critico (buona parte dei successi del cinema sci-fi sono stati stroncati all’uscita nelle sale), ma i fan, nelle cui fila io rientro, han potuto godere nel 2012 della grandezza di temi che da tempo non si affrontavano. Da dove veniamo, si chiedono in Prometheus, e qual è il nostro scopo nell’adattamento cinematografico del bestseller di David Mitchell, Cloud Atlas dei fratelli Wachowski in collaborazione con il tedesco Tom Tykwer. Entrambi riescono a colpire nel segno, forse più il secondo del primo, ma è bello poter vedere finalmente un film di genere non limitarsi ai soliti “temini” sull’eroe di turno armato di pistole laser.
5. Barbara: Le suggestioni derivanti dalla visione di un quadro possono talvolta trasformarsi in una serie di capolavori a scatole cinesi. Dalla vista di un Rembrandt al film di Christian Petzold sembra facile il passaggio, eppure il regista tedesco, da anni sulla cresta dell’onda, da anni mai considerato come meriterebbe, riesce in una brevissima scena in cui i due protagonisti descrivono il quadro La lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp a consegnare al pubblico un capolavoro di incredibile delicatezza. La colonna sonora è il vento, la fotografia minimale e sufficiente a sostenere il racconto di una dottoressa alla ricerca di una fuga dalla DDR in cui è intrappolata, divisa poi tra il suo dovere di medico e la sua vita.
4. Kotoko: Cocco porta un peso sulle sue spalle: vede doppio, le persone sono divise in bene e male, ma solo una di esse è reale. E’ una madre sola, giovane, autolesionista e con un solo dono, il canto, unico modo per portare il mondo a vibrare in un’unica direzione che le lasci pace. Shinya Tsukamoto mette in risalto le tumefazioni, il sangue coagulato e fresco, le piccole manie della sua protagonista abbandonandosi al senso più lontano dal cinema, il tatto, la capacità di toccare con mano la follia delle persone, di una situazione, l’assurdità della mente umana. Il capolavoro di Tsukamoto, tornato ai grandi fasti di Tetsuo e A Snake of June, è stato distribuito in Europa (dalla suddetta TWF) solo quest’anno, e di quest’anno è uno dei maggiori film in assoluto. Un’imperdibile visione sofferta.
3. Berberian Sound Studio: Inizialmente in questa posizione vi era Leos Carax, con il suo Holy Motors, il film su cui son state spese innumerevoli parole quest’anno. Poi, all’ultimo all’ultimo, ho avuto la fortuna d’essermi convinto a guardare l’opera seconda di Peter Strickland, inglese, poco noto al resto del mondo eppur magnificente. Citando le atmosfere dei dipinti del Cinquecento e i suoni dell’Horror italiano anni Settanta, Berberian Sound Studio offre la colossale interpretazione di Toby Jones ed un esempio di grande cinema vivo grazie alla pura e semplice abilità del Re del set, Strickland. Eccellente sotto ogni aspetto, la storia del tecnico del suono Gilderoy chiamato a lavorare per gli effetti sonori di un horror, è una discesa negli inferi che ricorda il vortice onirico di Mulholland Drive senza volerlo imitare, ma solo abbracciare. Peccato che l’Italia, pur essendo protagonista con l’intero cast e il tema di fondo del soggetto, non abbia deciso di distribuire uno dei capolavori più belli del 2012.
2. Il regno delle carte: Volendo rimanere in territori più convenzionali e “conservatori”, Tasher Desh del regista Q di Calcutta è un film sperimentale cui ancora non si deve dar troppa fiducia. Straordinario nella sua esposizione, innovativo pur essendo la trasposizione di un testo secolare d’una cultura forte d’una saggezza ancestrale anche quando incarnata in qualcosa di neonato. L’aspetto visivo è spettacolare, le musiche perfette, gli attori marionette al perfetto servizio di chi è in totale controllo della pellicola. Tratto da Il regno delle carte di Rabindranath Takhur, il film presentato al Festival di Roma è un racconto su più piani con protagonista la rivoluzione culturale, il ribellarsi alle barriere precostituite per rinascere sotto nuove forme. Perfetto nella sua presunzione, il film di Qaushiq Mukherjee è di una bellezza rara, in tutti i sensi, che consiglio a tutti di recuperare.
1. Michael Haneke: Non è sperimentale, né convenzionale e conservatore, la Palma d’Oro ad Amour, tutt’altro. Muove su binari classici, ma la costruzione narrativa dell’intera opera del regista austriaco non ha pari: due soli protagonisti, affresco a tinte uniche con pilastri semovibili a sostituire le macchine da presa a cui siamo abituati, posizioni quasi mai cambiate per giocarsi tutto sulla carta vincente, il mondo delle idee di uno dei più grandi autori dei nostri tempi. Spietato come non lo si vedeva da Le temps du loup, la sua dimensione della a lui vicina terza età, qui rappresentata dalla grandezza di Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant, è una visione crudele anche quando impregnata di un romanticismo a cui non ci aveva abituati. Abbandona la freddezza del calcolo di 71 frammenti di una cronologia del caso, la crudeltà del caos, per mostrare la vita di coppia fin nel suo estremo: il giungere di una malattia terminale e degenerativa. Perfetto, impeccabile, Michael Haneke è il regista e l’uomo dell’anno, evoluto allo stadio dell’immortalità grazie a un film dove per la prima volta vediamo gli occhi della morte.