Il cardellino
Spesso un’opera d’arte, ha un’esistenza durante i secoli così travagliata da renderla quasi maledetta, quasi ad essere sempre vicina alla distruzione a causa di continue vicissitudini. È il caso della storia del dipinto del pittore fiammingo Carel Fabritius (il più grande allievo di Rembrandt), ossia il Cardellino, che nel 1654 fu completato dall’artista poco prima della sua morte, causata da un’esplosione in casa. Si dice che alcuni vicini ritrovarono tale capolavoro appena realizzato, e da lì partì una vita per il quadro piena di nefandezze, danneggiamenti, furti e restauri.
La vita del dipinto è strettamente collegabile a quella del protagonista del nuovo film di John Crowley (conosciuto fra gli altri per aver diretto Brooklyn nel 2015 – pellicola che ricevette anche tre nomination agli Oscar – e ancor prima Closed Circuit nel 2013), che si intitola appunto The Goldfinch (Il cardellino), e che è tratto dal romanzo omonimo di Donna Tartt, la quale nel 2014 vinse anche il prestigioso premio Pulitzer alla narrativa.
Nel film, Theodore Decker crea una connessione speciale col dipinto del pittore olandese, dato che esso diventa l’ultimo ricordo della madre, morta a causa di un attentato terroristico, proprio mentre lei faceva vedere all’interno del Metropolitan Museum il dipinto al figlio, dicendogli inoltre che è il suo preferito in assoluto.
Theo rimane in vita insieme al dipinto dopo l’esplosione nella galleria d’arte, e decide di portarlo con sé, nascondendolo. Da lì in poi la sua vita diventerà tormentata e frenetica, perché oltre al trauma di aver perso la madre in circostanze tragiche, si ritrova a vivere per un periodo di tempo con la famiglia di un amichetto, ossia i Barbour (avviando un rapporto speciale con la signora Barbour, interpretata da Nicole Kidman, che diventa per lui quasi come una seconda mamma), e in seguito viene preso in affidamento dal padre, il quale aveva abbandonato tempo prima la famiglia, e che ora con la nuova compagna tenta di prendersi cura (fittiziamente) del figlio.
Theo quindi incomincia la sua vita piena di trasferimenti, allacciando amicizie (la più preziosa sarà quella con Boris), entrando in contatto con il figlio di una persona che ha perso la vita nel museo, un certo James Hobart (Jeffrey Wright), e con la figlia Pippa, la quale era presente di fianco a Theo durante l’esplosione; eppure, quest’ultimo porta sempre con sé il celebre dipinto, il quale viene dichiarato dalla stampa distrutto proprio durante l’attentato. Mantenere l’opera con sé nell’arco della crescita non sarà semplice per Theo, perché quel Cardellino è destinato da secoli ad un’esistenza così nefasta, che non si arresterà nemmeno quando lui ne diviene il nuovo “proprietario”.
Il film di Crowley attraversa tanti anni di vita del protagonista, dall’infanzia traumatica all’età adulta, dove egli è un esperto di antiquariato e lavora nel negozio del signor Hobart. La crescita di Theo sembra segnata da quell’evento: si dà alle droghe e all’alcool fin da adolescente, i rapporti con le persone sembrano basati sull’ipocrisia e sulla convenienza, ed egli stesso diventa manipolatore e calcolatore a volte, poiché truffa alcuni clienti per ottenere vantaggi economici.
Una storia di vita segnata in negativo da quell’evento, da quel momento, da quella perdita, da quel trauma, che crea un vortice psicanalitico che non smette mai di placarsi, nemmeno quando è adulto. L’unica cosa che gli dà un senso per vivere, e che gli dona un realistico affetto, tenendolo ancora incollato all’esistenza e alla speranza di una vita migliore, è proprio quel dipinto, che diviene l’archetipo della madre, dell’amore, del sentimento più eterno; il dipinto è l’unica cosa ancora viva della madre, poiché esso, a differenza delle persone, è immortale.
Il dipinto sembra trasferire tutte le sue storiche e innate nefandezze esistenziali al protagonista, come se egli sia stato maledetto al solo sguardo verso l’opera, che trascende dalla condizione puramente estetica e tecnica per sfociare in quella più surreale e metafisica, facendo notare inoltre a Theo e allo spettatore che essa non ha solo un valore appunto materialistico, ma ne ha uno umano altrettanto inestimabile.
Un’opera fissa può condizionare l’esistenza delle persone, può entrare nel loro immaginario e può collegarsi mnemonicamente alla rispettiva vita, attraverso un’attrazione feticista indelebile. Un’opera può diventare più importante di qualsiasi rapporto umano, di qualsiasi amore, di qualsiasi esperienza sessuale, e di qualsiasi amico, perché essa diventa un ponte diretto verso la sfera emotiva più profonda; essa è un idealistico collegamento con chi non c’è più.
La pellicola del regista irlandese mira ad esaltare questo, ossia la speciale connessione tra l’opera e il protagonista, tra l’arte e l’uomo. Theo in svariate scene abbraccia il dipinto, lo nasconde, lo preserva, ogni tanto lo controlla, e durante tutti gli anni della sua vita lotta per non perderlo, arrivando addirittura a compiere gesti estremi, a rovinarsi socialmente, pur di non perdere l’unico oggetto che lo aggrappa al ricordo, che gli faccia sentire la madre (in parte) ancora presente nella quotidianità.
Crowley si sofferma su ciò con una sfumatura affascinante, che emoziona e coinvolge lo spettatore. Il cardellino sembra un film e un racconto tanto surreale quanto allo stesso tempo tragico, realistico, sfacciato, cinico. Riesce in poco più di due ore a raffigurare i momenti positivi e negativi della vita di un normale ragazzo, cercando di razionalizzare una tumultuosità esistenziale, che si può comprendere a pieno solo se vissuta.
La sceneggiatura di Peter Straughan segue in simbiosi la sfumatura scenica che la regia vuole esplicitare, muovendosi inoltre in un contesto non semplice, perché spesso è costretta a sintetizzare varie parti, perché per forza di cose non ha a disposizione la lunghezza narrativa di un romanzo. Eppure fa rimanere lo spettatore sempre aggrappato alla storia di Theo, nonostante sia enormemente variegata e costruita principalmente attorno a costanti flashback e flashforward, i quali vogliono creare (volutamente) quella connessione psicanalitica tra la vita adolescenziale e quella da adulto del tormentato protagonista.
Theo si sente per tutta la vita come il cardellino di Fabritius, incatenato e quindi impossibilitato a scappare e ad avere la libertà, quella libertà che egli desidera tanto, e che è mnemonica. Si immedesima totalmente in quell’uccellino, perché in fondo hanno in comune lo stesso (doloroso) destino. Eppure, egli deve lottare per l’arte, perché essa è strettamente collegabile a delle storie umane, è l’unica cosa che continuamente in eterno, potrà trasmettere delle emozioni specifiche, ed è l’unica cosa che tiene misteriosamente in vita le persone, ossia quelle che in un modo o nell’altro, si sono interfacciate ad essa. Viva è l’arte, viva è la storia, e di conseguenza vivo è il ricordo.
- Diretto da: John Crawley
- Prodotto da: Nina Jacobson, Brad Simpson
- Scritto da: Peter Straughan
- Tratto da: "Il Cardellino" di Donna Tartt
- Protagonisti: Ansel Elgort, Oakes Fagley, Aneurin Barnard, Finn Wolfhard, Sarah Paulson, Luke Wilson, Jeffrey Wright, Nicole Kidman
- Musiche di: Trevor Gureckis
- Fotografia di: Roger Deakins
- Montato da: Kelly Dixon
- Distribuito da: Warner Bros. Pictures
- Casa di Produzione: Amazon Studios, Color Force
- Data di uscita: 08/09/2019 (Toronto), 13/09/2019 (USA), 06/12/2019 (Italia)
- Durata: 149 minuti
- Paese: Stati Uniti
- Lingua: Inglese
- Budget: 44-49 milioni di dollari