Her Socialist Smile
All’inizio del ‘900 il movimento femminista cominciò a prendere piede. Il cinema e la serialità televisiva stanno “sfruttando” oggi – anche per una sensibilizzazione sociale – delle biografie di donne valorose, dimenticate da una storiografia che nel corso degli anni è stata fin troppo esaltatrice in primis di figure maschili. D’altronde, la lode di alcuni pilastri dell’emancipazione femminile, diviene anche un’analisi su di un enorme spirito di comunità, che le donne – non solo dal 1900 – crearono per arrivare a impensabili finalità sociali (vedi il film Suffragette di Sarah Gravon), così da scardinare con i tumulti e la forza d’animo (vedi alcuni episodi dello show Downton Abbey) la logica radicata della classe all’epoca dominatrice, ossia la borghesia, e della latente aristocrazia, seppur quest’ultima in imminente declino.
John Gianvito è un documentarista americano vicino ai temi sociali, culturali e storiografici di oltre oceano, e nella sua ultima opera – presentata in concorso al festival Linea D’ombra – c’è un omaggio oculato, ben congegnato, analitico ed umanista, verso una grande donna ed attivista, ossia Helen Keller.
La paladina del socialismo – in concomitanza con la furente rivoluzione anti-zarista in Russia – tenne degli storici discorsi pubblici, per sensibilizzare l’opinione pubblica, sia sulla natura delle istituzioni in rapporto al popolo (che per lei doveva essere di matrice marxista), sia sul ruolo della donna, all’interno di una società moderna, che andasse a scardinare i dogmi strutturali e culturali di quella tradizionale/classica.
Tutto ciò e non solo è racchiuso in Her Socialist Smile, un documentario (conoscendo anche lo stile di uno come Gianvito, che nella scrittura del biopic sposa l’anti-convenzionalità, che nel cinema di finzione è cara ad Aaron Sorkin per esempio) singolare e ben lontano dai canoni puramente cinematografici, già per la struttura tecnica: l’opera si riempie sia di didascalie, nelle quali sono incisi passaggi chiave del pensiero politico e filosofico della Keller; sia di una narratrice in e fuori campo, ossia la poetessa Carolyn Forché, la quale si sofferma sul carattere e sull’umanità della protagonista; sia di sequenze con inquadrature in primo piano o in carrellata sulla natura e sui giardini botanici; sia di scene ambientate in un teatro vuoto e desolato, ove vengono presentate – tramite didascalie, stavolta sovrimpresse – delle interviste fatte proprio alla Keller.
Al regista non interessa un’interpretazione della protagonista, una semplice esaltazione, o un racconto didascalico delle sue vicissitudini esistenziali, Her Socialist Smile è in primis un’opera sulla psiche, sul pensiero, sui sentimenti più reconditi di una donna, mettendo a nudo verso lo spettatore un personaggio che non va semplicemente inquadrato e/o narrato, ma anche letto, scrutato, analizzato, intervistato e contestualizzato, sia nel passato, sia nella contemporaneità.
Oltretutto – come farebbe invece alludere il titolo – l’opera non è solamente un political drama, o una diagnosi della storia americana in rapporto alle ideologie ed agli estremismi, è anche una riflessione sul genere, sulle virtù e sulle potenzialità di un genere, sui rapporti umani, sul senso di etica e di civiltà in una comunità sociale, sugli esposti, perché sono loro che entrano in campo e hanno le potenzialità di plasmare le coscienze.
E se la Keller crebbe sotto l’influenza della rivoluzione bolscevica (che anni dopo George Orwell de-mitizzerà in una delle sue opere letterarie più grandiose, ossia La fattoria degli animali), del prorompente marxismo, della logica dei futuristi, degli esistenzialisti e dei sociologi, il suo è anche un pensiero individualista, basato non solo su una voglia spasmodica di rendere la società più femminista, ma anche di tornare ai canoni della ben precedente rivoluzione francese, quindi ai diritti inalienabili e ai principi di fratellanza, uguaglianza, ed alla difesa delle fasce più deboli, che le rivoluzioni industriali e l’imminente capitalismo avevano messo in secondo piano, all’interno del pensiero pubblico.
Gianvito col silenzio delle didascalie – che lo spettatore legge come se fossero saggistiche cartacee – con la voce delicata della Forché in stile speaker radiofonico, e con la fascinazione estetica delle immagini di repertorio e della natura tanto cara alla Keller, compone un biopic documentaristico eterogeneo, ove non sono gli altri o lui stesso a parlare della protagonista, è invece lei che si racconta, attraverso gli scritti e i discorsi pubblici, ed attraverso i foto-ritratti e la visione delle passioni personali. È la storia che parla di Helen Keller, quella che tal volte può essere scritta dai vincitori, portando quindi a delle alterazioni. Nonostante ciò, perscrutando con obiettività la storia, si scorgerà inevitabilmente la verità, e si troveranno, anzi si ritroveranno chi l’ha davvero composta – attraverso parole ed azioni – ossia non solo gli uomini virtuosi, ma anche le donne coraggiose e progressiste.