Godflesh – Post Self
I Godflesh, costituiti dal duo Broadrick (voce, chitarra) e G.C. Green (basso, batteria) sono un gruppo metal storicamente attivo dagli anni ’80 e che oggi torna alla carica con un disco roboante e ruggente, Post Self. Le dieci tracce che lo compongono, tuttavia, trascendono in un songwriting minimalista e singolare; non sfuggono, di fatto, i velati giochi lessicali su cui il duo costruisce l’intelaiatura del disco: c’è la gènia (Pre Self) e la progenie (Post Self) che curiosamente dà il titolo all’intero lavoro. Queste due dimensioni sono inevitabilmente legate dal punto di vista concettuale, ma sonoramente distanti: la prima rigida, la seconda dissonante. Pur adoperando una schematica alternanza tra presente e passato, Broadrick e Green restano tendenzialmente ancorati ad una ritmica ossessiva, dotata perlopiù di testi lapidari e dissociati dal reale (Be God) in cui “confezionano” una sorta di superomismo dal sapore proto-noise, ma che abilmente “invertono” nell’altrettanta dissonante e quasi lisergica Mortality Sorrow, in cui si racconta letteralmente del dolore causato dalla mortalità, che il metal vuole ostinatamente rifuggire. Funzionano particolarmente bene le virate elettroniche di Mirror Of Finite Light e di The Cyclic End (con questo pezzo si viene anacronisticamente riportati agli albori) che precedono una conclusione imprevista e low profile, The Infinite End, basata sull’etereità dei synth e su un ossimoro (fine infinita) che sintetizza la filosofia musicale di questa band: immediata, schietta e sopra le righe. Un disco musicalmente estremo che ci racconta di come si può dire tanto con essenzialità.