“Giselle”: l’eternità del balletto in Itamar Serussi Sahar e Chris Haring
Il balletto romantico per eccellenza dal 1841 sulle scene rivive dopo innumerevoli riallestimenti con Itamar Serussi Sahar e Chris Haring, e il Balletto di Roma. Una riscrittura che dell’originale, pur stravolgendo l’intreccio del libretto di Théophile Gautier nonché l’impianto scenografico e musicale, ha preservato la forza del conflitto tra amore e vendetta. Una fanciulla che ama danzare muore a causa del dolore provocatole dal tradimento e dall’inganno dell’amato. Il suo spirito vola in una dimensione ultraterrena, il regno delle Villi, abitato dalle vergini morte prima di aver conosciuto le gioie dell’amore. Sono creature fragili, addolorate ma assetate di vendetta pronte ad uccidere qualunque individuo di sesso maschile s’imbatta nel loro cammino, dopo averlo ammaliato con la loro candida sensualità. Devono punire il genere maschile per i loro tradimenti, per averle private del soddisfacimento della loro libido, della gioia del sesso appena accennata nel corteggiamento. Come moderne sirene vivono intrappolate in un limbo, sono donne a metà, hanno vissuto il dolore ma non il piacere; solo Giselle resisterà al desiderio di vendetta in nome di un più puro sentimento d’amore salvando il suo Albrecht dalla danza di morte delle Villi.
Il Balletto di Roma – sotto la direzione artistica di Francesca Magnini – porta in scena dal 2016, e sul palco del Teatro Vascello dal 26 febbraio al 3 marzo scorsi, una Giselle dall’aspetto apparentemente minimalista ma che in realtà declina psicologicamente i suoi personaggi, li sdoppia e li ricompatta, ne suddivide le azioni nel tempo e nello spazio, andando oltre il contrasto tra la vita e la morte rappresentato dall’esotismo tipicamente romantico-ottocentesco delle Villi, che qui paiono propendere ancora di più verso la dimensione terrena. Le Villi del Balletto di Roma sono meno “spiriti” e più “donne”, più carnali e peccaminose, più vere. Su una scena bianca e asettica i danzatori fasciati da body color carne appaiono solamente con i loro corpi. La nudità ci parla della loro condizione di esseri fatti di carne, cuore e viscere, uomini e donne senza tempo, anime apolidi, creature prive di uno status sociale predefinito. È dunque assente l’ordine gerarchico che sottolineava la distanza tra il mondo campestre e quello nobile di cui facevano parte rispettivamente Giselle e il suo amato Albrecht. Lei appare inizialmente di difficile identificazione: da un unico gruppo si distaccano volta per volta più elementi solistici. Contrariamente alla versione originale, in cui primeggiava la pantomima figlia del ballet d’action, una dimensione individualistica sembra prevalere in questo primo atto affidato alla coreografia di Itamar Serussi Sahar, che ha militato dalla Batsheva Dance Company allo Scapino Ballet di Rotterdam, dove è ora resident choreographer. Chris Haring, invece, firma il secondo atto, di maggior impatto corale. Il coreografo Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2007 e fondatore della compagnia Liquid Loft traduce l’opposizione tra individualismo e collettività in un continuo accrescimento coreografico.
In entrambi gli atti la partitura non è mai costruita sull’economia del gesto ma, al contrario, risulta tecnicamente complessa, vi corrisponde un’ottima preparazione fisica dei danzatori. Tuttavia, nel primo sembrano distinguersi i temi cardine della storia: l’innamoramento, il tradimento, la morte terrena. Ogni assolo, ogni variazione risulta fine a se stessa. Appare difficile identificare la stessa Giselle o seguire il filo narrativo della vicenda. Sembra non aiutare neanche la musica composta dai due compositori, Richard Van Kruysdijk e Andreas Berger, che hanno lavorato sulla partitura originale di Adolphe Adam, innestandovi nuove musiche e dando voce anche ai danzatori del Balletto di Roma. Infatti, a tratti sono debolmente rintracciabili i “temi” musicali originari da sempre associati al singolo personaggio o ad un’azione predefinita vissuta nel presente o nel ricordo dei protagonisti, come ad esempio nella celebre scena della pazzia di Giselle. Il lirismo e la sperimentazione del primo atto lasciano il posto all’illimitata espansione del secondo atto costruito da Chris Harin. Qui la musica da tenebrosa e inquietante diventa più carica e dà spazio a incursioni cinematografiche e canore. Il pas de deux dei protagonisti diventa un continuo aggrapparsi l’uno all’altra, come se fosse l’ultima volta che si possa insieme godere del reciproco amore. Lei è morta, ma conserva un guizzo di vita per lo spirito di vendetta che anima i movimenti languidi e al tempo stesso spigolosi; una feroce sensualità ammalia lui, ormai vicino alla morte, e non fa che prolungare il suo piacere come un’agonia. Lottano violentemente per non lasciarsi sulle note di “Senza fine” di Gino Paoli, cantata sottovoce da una crudele voce femminile. I gemiti di un amplesso amoroso riecheggiano attraverso le voci fuori campo di una nota commedia americana. Il coro muto delle Villi aumenta la carica emotiva dei loro gesti tradotti in un defilè di corpi ondeggianti; i danzatori sfilano uno dietro l’altro da una quinta all’altra di profilo al pubblico a passi lenti e muovendo il ventre come un serpente sibillino pronto a pungere la preda. Non vi sono più distinzioni di sesso. Anche gli uomini prendono parte a questa sfilata di morte e vendetta, con passi ricorrenti che nella tradizione del repertorio simboleggiano, quasi mimandolo, l’atto sessuale. Il gruppo si ricompatta sul finale come in uno stormo di rondini distribuito lungo una diagonale, continuando a ondeggiare in un canone la cui potenza risulta sempre più amplificata dal numero di danzatori che un po’ alla volta esegue delle cadute nella stessa direzione. A ogni caduta i danzatori-villi si rialzano facendo perno sulle mani e sulle ginocchia per poi ricadere nuovamente come un salice piangente mosso dal vento, figura anche questa ricorrente nella versione tradizionale. Questi simbolismi rendono il balletto di più agevole lettura, ma questa comunque presuppone una conoscenza pregressa dello spettatore. Tuttavia la sua comprensione resta possibile grazie alla decostruzione delle identità; Giselle resterà eterna per la sua umanità anche dopo la morte. Tradizionale esempio di perdono cristiano, di purezza del sentimento e rispetto delle gerarchie sociali il balletto del 1841 si vede a prima vista tradito sotto ogni aspetto in questa versione del Balletto di Roma, ma se ci si presta ad una più accurata analisi è facile notare come la fedeltà ai suoi valori originali resta intatta, come il tema del dualismo tra il mondo reale e quello ultraterreno, nell’eternità della storia di uomini e donne.