Arti Performative

Geppy Gleijeses // Così è (se vi pare)

Giovanna Villella

Andato in scena il 22 febbraio, al teatro Grandinetti di Lamezia Terme (CZ), per la nuova stagione teatrale di AMA Calabria con la direzione artistica di Francescantonio Pollice, Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello con Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato e con Maria Rosaria Carli e Luchino Giordana, Antonio Sarasso, Marco Prosperini, Walter Cerrotta, Dacia D’Acunto, Vicky Catalano, Giorgia Conteduca, Giulia Paoletti. Regia di Geppy Gleijeses. Produzione Gittiesse Artisti Riuniti.

“M’accade quasi sempre di trovarmi in cattiva compagnia, la gente più scontenta del mondo, o afflitta da strani mali, o ingarbugliata in speciosissimi casi, con la quale è veramente una pena trattare. E così, tra questi fantasmi che a volte sento sghignazzare dietro gli armadi, un giorno mi si fece innanzi il dottor Fileno il quale mi snocciolò una teoria che ho definito La filosofia del lontano […]. Le cose più vicine, vissute, torturanti, furono viste con il binocolo rovesciato: da quella distanza che ne permettesse la meditazione assorta o l’ironia o addirittura il distacco. Nel nostro caso, il coro osceno di donne curiose e assetate di notizie e quella burocrazia provinciale che ha il dovere di saper tutto, quegli esseri torturanti e brulicanti che s’avventano come corvi sui detriti dell’umanità per carpirne una verità che non esiste, diventano un plotone di omini e donnine alti sessanta centimetri, vengono depotenziati, ridicolizzati, ridotti a insetti formicolanti attorno a tre creature emerse dalle crepe della terra per tormentarmi”.

Nel buio della sala, il prologo del regista, che dà voce allo stesso autore esplicitando – nel contempo – la propria personale lettura della pièce, introduce la prima scena. Gli ologrammi dei personaggi, opera del video artist Michelangelo Bastiani, proiettati su schermi, con la loro fisicità dematerializzata e ridotta e la loro ridda di voci, arrivano agli spettatori come simulacri visivi perturbanti. Ma presto prendono vita, nelle loro fattezze reali, nel salotto di casa Agazzi animando lo spazio scenico disseminato di specchi piuma che, per effetto della loro riflessione distorta e deformante, amplificano l’ipocrisia e l’ansietà di tutti coloro che accolgono la signora Frola, il signor Ponza e la signora Ponza, volendoli giudicare.

Questo corpo sociale, formato dalla signora Amalia Agazzi e da suo marito, il Consigliere, dalla loro figlia Dina, dalla signora Sirelli e dal signor Sirelli, dalla signora Cini, dalla signora Nenni e da Lamberto Laudisi, si presenta in scena rumoroso e invadente. Piccoli inquisitori di provincia divorati dalla curiosità sui misteriosi e torbidi rapporti fra quel terzetto di sconosciuti, scampato a un terremoto devastante nella Marsica.

E questa loro frenesia si riflette anche nei bellissimi costumi di scena firmati da Chiara Donato: abiti modaioli dai colori vivaci, con un tocco festaiolo e particolari civettuoli (balze, volant, nappine e piume) per le donne; varie nuance di grigio e tortora per gli uomini, colori da “burocrati” che vogliono rassicurare, enfatizzando l’autorità di chi li indossa, fatta eccezione per Laudisi che vira verso le discrete e composte tonalità del beige. Mentre il terzetto degli esclusi rispetta un dress code rigorosamente in nero, come da copione. Costumi che, anche nella palette cromatica, tendono a uniformare, in una sostanziale assenza di individualità, i borghesi, e a tutelare invece l’integrità e l’intimità del nucleo Ponza-Frola.

Lo spettacolo è un lavoro corale basato sulla contrapposizione non tanto di singole individualità – che pure emergono – quanto di gruppi di personaggi: da un lato la borghesia cittadina, formata da figure caricaturali; dall’altro il trio tragico dei Ponza-Frola chiuso nel proprio universo delirante e avvolto nel mistero. Essi appaiono sulla scena come degli spettri, dei revenants che giungono da un luogo ignoto, destinati a ripetere lo stesso dramma. Fra i tre, la fantomatica Signora Ponza, pur assente, è in realtà l’oggetto unico delle discussioni all’interno del salotto Agazzi e nei racconti sarà, di volta in volta, Lina o Giulia. Prigioniera invisibile in una stanza lontana che polarizza lo sguardo dei vari personaggi, anche se, in questo caso, la “stanza della tortura” non si identifica con la scena, ella appare solo alla fine, velata, marmorea nel suo teatralissimo: “La verità? È solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola […] e la seconda moglie del signor Ponza […] e per me nessuna, nessuna […] per me io sono colei che mi si crede”. E, ai saluti, si scopre la felice intuizione registica che ne ha triplicato la figura. Non dunque un’illusione ottica, un effetto moltiplicatore degli specchi piuma, ma una Signora Ponza per ogni verità ad amplificare quel senso di ambiguità che dimostra come la verità non possa essere afferrata.

Fra questi due gruppi si interpone la figura di Lamberto Laudisi che non è solo lo spettatore-raisonneur ma diventa il demiurgo dell’intera azione. Il ruolo è affidato a un autorevole Pino Micol il quale dà vigorosa misura delle sue capacità attoriali riuscendo a esaltare la dialettica pirandelliana che risulta tanto più satirica e sferzante quanto più se ne lasci intatto il segreto pathos che la anima. Straniato ed empatico, in dialettico incontro tra ironia e umana partecipazione, egli maneggia, con lucido disincanto, due verità eguali e opposte che si fronteggiano: chi è pazzo? Il signor Ponza? La signora Frola? La sua chiosa, accompagnata da una risata beffarda “Ecco signori come parla la verità!” / “Siete contenti?” / “Ah! ah! ah! ah!”, suggella l’impossibilità di far coincidere la realtà con la verità.

Dominata dalla personalità e dal gesto misurato di Milena Vukotic, la signora Frola, entra in scena con la grazia discreta di una mater dolorosa, muovendosi con leggerezza di libellula, eppure solidissima nella fragilità della sua figura. Eterea, si materializza sul palco quasi danzando e scrivendo la sua interpretazione con tutto il corpo, che registra ogni sua emozione: pietà implorano le sue mani affusolate, intrecciate in preghiera, speranza le sue braccia protese in avanti ad accompagnare lo sguardo rivolto verso l’alto, a quel ballatoio (immaginario) da cui, ogni giorno, si affaccia l’amata figliola; amore (materno?) mentre abbraccia suo genero, il signor Ponza, cercando di consolarlo laddove il volto è attraversato da stati d’animo colorati dalla più intensa partecipazione emotiva e sensitiva.

Con la sua dignità e il suo dolore introflesso, Gianluca Ferrato è un signor Ponza di singolarissima presenza e concentrazione teatrale, con una gestualità sorvegliatissima nei vari trapassi interiori a cui le molteplici situazioni lo conducono. Il contrasto tra la congerie dei borghesi e lo stilizzato grafismo di Ponza, che esplode in follia e violenza per poi rattrappirsi in intimissima disperazione, è giocato in costante equilibrio tra ragione e delirio.

Maria Rosaria Carli, la signora Amalia Agazzi, si conferma attrice di gran classe. Pur guidando il “coro delle pettegole”, spicca per signorile distinzione. Certo, condivide l’insana curiosità che anima tutti, si presta al “gioco” di scoprire la verità sul misterioso terzetto, ma la sua verve iniziale, con tratti di svaporata spigliatezza, si stempera in momenti di muta compassione al cospetto della signora Frola, riconoscendo toto corde e pienamente l’altra. Da madre a madre.

Bella presenza quella di Luchino Giordana, nitido e risoluto, con i capelli all’umberta e il decoro da funzionario prefettizio.

Ma tutti gli attori si distinguono per bravura e intensità. Antonio Sarasso è un Signor Sirelli altero e segaligno che si impone sulla scena con pose statuarie, Marco Prosperini passa con disinvoltura dal ruolo di un quasi caricaturale vecchio cameriere a quello di tronfio prefetto in redingote, Walter Cerrotta è un commissario Centuri con tratti da cartoon. Mentre, nell’universo femminile, Dacia D’Acunto (Signora Sirelli), Vicky Catalano (Signora Nenni) e Giorgia Conteduca (Signora Cini), perfettamente calate nel ruolo, riferiscono – anche nelle movenze e negli atteggiamenti ondivaghi – l’inconsistenza e la precarietà morale ed esistenziale delle “signore”, fatta eccezione per la figura di Dina interpretata da Giulia Paoletti, la quale dopo aver aderito, nel suo candore, all’atteggiamento materno, acquista sempre più maturità e consapevolezza.

Geppy Gleijeses dirige impeccabile e felice questa partitura pirandelliana nella quale convergono un po’ tutti i temi dell’autore di Girgenti, condensati in una drammaturgia perfetta. In questo “ininterrotto gioco degli specchi” in cui morbosità, passioni e mistero si accendono e si spengono, continuamente ritornanti nella loro ambiguità tra volumi di buio e fasci di luce sapientemente disegnati da Francesco Grieco e sottolineati dagli inserti musicali di Theo Teardo, la regia di Gleijeses non perde alcuna sfumatura riservando a ogni personaggio la giusta cura e la dovuta attenzione.

 

[Immagine di copertina: foto di AMA Calabria]

 



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