#Fuorinorma. Francesca Fini, una “cyborg fatale” sul grande schermo
Dopo la presentazione del libro alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, nato per raccontare dieci anni di attività artistica, Cyborg fatale – performance e video tra reale e virtuale (2011-2021) (Postmedia Books, 2021), Francesca Fini, performance artist romana di nascita ma internazionale di fama, è tornata alla ribalta a Roma con il festival Fuorinorma, la via neosperimentale del cinema italiano a cura di Adriano Aprà (la V edizione, che si è svolta dal 4 al 9 dicembre). A SCENA, lo spazio nel quartiere Trastevere, sono stati proiettati tre dei suoi lavori pensati per lo schermo. Due di questi, Vanitas Vanitatum et omnia vanitas (2020, 13’) e Planet Pink (Panopticon 1) (2021, 17’) sono accomunati dal linguaggio, assimilabile al cinema di animazione. Il primo, una video installazione, riprende la nota locuzione latina che indica “la vanità di tutte le vanità“, citazione che deriva dal Qohelet (o Ecclesiaste), uno dei libri sapienziali della Bibbia ebraica e cristiana. Con la sua inconfondibile vena umoristica, Francesca Fini gioca con le immagini di dipinti poco noti al grande pubblico, attraverso ritratti pittorici riprodotti in formato digitale, di cui restituisce nella cornice bidimensionale dello schermo frammenti che si mescolano a elementi decorativi universalmente riconducibili all’idea di “bellezza”, i quali compongono e scompongono, in modo fantasioso, i ritratti pittorici come farfalle svolazzanti o strisce orizzontali simmetriche (la simmetria è nella cultura occidentale legata al concetto di armonia e di bellezza). Il terzo quadro, già di per sé un’interessante mise en abyme, la Maddalena penitente di George de La Tour (1650, olio su tela), in cui la protagonista è incorniciata mentre osserva una fiamma riflessa all’interno della cornice di uno specchio, appare animato in un’ondeggiare del corpo e della fiamma a ralenti, un moto quasi acquatico, con l’occhio dell’osservatore esterno, ovvero lo spettatore in sala, che si muove scrupoloso sulla superficie pittorica attraverso lo spostamento dell’inquadratura. Un’interessante cortocircuito tra cinema e pittura nell’ipermedia della videoarte. Suoni elettronici fanno da contrappunto anticipando le presenze figurative legate a una tecnologia computeristica obsoleta: una clessidra per il caricamento delle operazioni, un monitor anni Ottanta. Bellezze floreali esplodono vivaci sul display, per un pulsare ipnotico di colori. L’ultimo quadro è l’autoritratto di Hendrik Van Limborch (1708): il narcisistico atteggiamento dell’autore e soggetto vede gradualmente sfiorire la propria consistenza e autorevolezza a causa del passaggio della creatura naturale lenta per antonomasia, la lumaca, che elimina la patina superficiale della bellezza esteriore per dare sfogo alla putredine sottostante e che accomuna tutti i corpi umani. Ancora più visionario, Planet Pink (Panopticon 1), che catapulta lo sguardo in un caleidoscopico paesaggio urbano circondato da montagne. Una metropoli immaginaria, in cui passato e presente si mescolano ad altissimi e futuristici grattacieli per comporre il ritratto tridimensionale di un universo al tempo stesso metafisico, surrealista e anarco-dadaista. Il paesaggio trabocca di bellezza a livelli parossistici. Talmente tanta bellezza coesiste da diventare, questa, un rifiuto di cui il mare è ricco. Scene sottomarine immortalano dipinti animati, una pin-up con le scarpette rosse da ballerina siede su un trono a forma di water. È impossibile riassumere la capacità visionaria, oltre che l’abilità tecnica, di Francesca Fini, che innesta una moltitudine di segni sospesi in un immaginario vastissimo, che slitta continuamente, dalla poesia, anzi, dalla ballata – La ballata del vecchio marinaio di Samuel T. Coleridge, che risuona come un claim ossessivo e respingente – alla caotica compresenza di immagini all’interno di un atelier abitato da personaggi spiazzanti e tipicamente lynchiani.
Il terzo film presentato, la registrazione della performance Lockdown, realizzata insieme a Francesca Leoni e Francesca Lolli e andata in live streaming nell’aprile 2020, è un trittico di corpi che elogia la lentezza e scandito da un metronomo. Francesca Lolli e Francesca Fini compiono azioni contrapposte: la prima si dipinge il corpo, la seconda lava via il colore che la ricopre in modo omogeneo. In entrambi i casi si tratta di faticose azioni che comportano uno “spreco” di energia e di tempo, un lusso che forse come animali sociali abbiamo potuto sperimentare per la prima volta soltanto in quel periodo in cui le nostre vite restavano sospese e apparentemente ferme, con la sensazione d’esser lontane nel loro ricominciare. Nel mentre, di spalle e al centro, Francesca Leoni è immortalata nell’atto di attaccarsi post-it sulla schiena nuda. Ogni pezzo di carta un numero, un conteggio che scandiva le giornate in attesa dell’ennesimo bollettino.