“Forever Young” alla Corte Ospitale: l’umano tra teatro, natura e territorio
Si è tenuta a Rubiera il 9 e 10 luglio la quarta edizione di Forever Young. La Corte Ospitale, simbolo della piccola città emiliana, si è fatta ‘teatro’ delle compagnie under 35 protagoniste della rassegna diretta da Giulia Guerra, inserita all’interno del programma L’Emilia e una notte 2022 e realizzata con il contributo della Regione Emilia-Romagna e del Ministero della Cultura.
Il complesso cinquecentesco ospita, così, la nuova generazione teatrale e offre un alto livello di ricerca proponendo i cinque lavori finalisti al concorso.
La Corte, con il suo chiostro, la chiesa sconsacrata, i tramonti sui covoni di grano della pianura Padana e la foresteria, antico ristoro dei pellegrini in viaggio verso Roma, ospita nelle sue sale gli spettacoli ma anche momenti di studio con laboratori di visione e giornalismo teatrale. Diventa il luogo ideale di riflessione e interazione tra critici, giornalisti, ospiti e giurati intervenuti al festival.
Risalta subito all’occhio, posta in un angolo del chiostro della Corte Ospitale, il modello di un’ampia cabina telefonica, il prezioso involucro di vetro contenente la ‘voce’ (e il corpo) di Annamaria Troisi. È lei l’attrice protagonista di Chiamami, spettacolo, fuori concorso e parte della stagione estiva L’Emilia e una notte. Per un solo spettatore alla volta, tratto da La voce umana di Jean Cocteau e attraverso la poesia di Marta Bardazzi, Chiamami dà luogo alla telefonata fuori dal tempo che Annamaria racconta in un crescendo emozionale che la conduce fino alle lacrime, e che ciascuno spettatore può ascoltare commosso dall’altro capo del telefono. La performance è un piacevole intermezzo tra gli spettacoli in programma, fonte di sensazioni diverse che gli interlocutori scambiano tra di loro dopo aver messo giù la cornetta del telefono, sulle note di Mina, Tenco e Battisti che riecheggiano nell’atmosfera.
Il concorso Forever Young è iniziato sabato 9 con Gli altri #2_Serbia-UE 2098 del collettivo Corps Citoyen. Lo spettacolo, di e con Anja Dimitrijevic, è il non facile racconto di una performer nata a Belgrado che, attraverso il suo documento d’identità, spiega le difficoltà burocratiche che impediscono di prolungare il suo soggiorno in un paese membro dell’Unione Europea. Per fare ciò si serve appunto dei suoi documenti ma anche di vecchie fotografie, dell’obiettivo di una videocamera, della scrittura meccanica e irriverente di un pc. Lo spettacolo si tinge di ironia. La danza si alterna all’immobilità della performance, spesso filtrata dalla webcam, insieme ad alcuni capovolgimenti di prospettiva creati dall’attrice con il suo stesso corpo. Sdraiandosi a terra e rovesciando il campo visivo dello spettatore, Anja inquadra il suo volto volutamente freddo e metallico, così come la sua voce, ormai trasformata in quella di un’impiegata burocrate. Riflette, in maniera forse un po’ autoreferenziale, sui concetti di identità e di straniero, sul tentativo costante di trovare qualcosa di ‘teatralmente interessante’ come ripete più volte lei stessa in una sorta di insoddisfazione perenne.
Felicissima jurnata della compagnia Putéca Celidònia è invece la parafrasi contemporanea (e napoletana) di Giorni felici di Beckett. Lo schema è lo stesso: una strana coppia. Lei (Antonella Morea) è immobile e coperta fino alla vita; tesse felice una tela rossa; lui (Dario Rea), curvo, malato ma non ancora costretto alla paralisi, si muove muto e inquieto nella povera dimora. Questa famiglia del quartiere Rione Sanità mostra tutta la poesia e la malinconia del basso napoletano. Ricco di immagini visive e sonore lo spettacolo parla non solo attraverso le chiacchiere civettuole della donna ma anche tramite gli oggetti. L’acquario di un lavabo in cui lavare l’enorme caffettiera diventa uno specchio d’acqua in cui l’uomo cerca quasi di annegarsi, il rossetto e lo specchietto da trucco della donna sono la rappresentazione penosa del suo sforzo di sentirsi ancora attraente nonostante l’età avanzata (chiaro riferimento al sentimento del contrario pirandelliano). Le sue parole occupano ogni spazio e tempo. Il marito non le risponde, emette pochi versi a fatica, ma ride di gusto con lei nel ricordare il loro passato, la bellezza delle prime volte. La tela della memoria che sta tessendo la donna sul finale dello spettacolo la sommerge proprio come la sabbia beckettiana mentre l’uomo compare con il suo cranio calvo alle sue spalle. L’ultima immagine vede entrambi i volti vicini, prigionieri ma felici(?) della loro vita e della loro stessa trama.
La compagnia Maragoni/Fettarappa/Vila riceve una menzione speciale dalla giuria, composta da Giulia Guerra (La Corte Ospitale), Claudia Cannella (Hystrio), Carlo Mangolini (Teatro Stabile del Veneto), Fabio Masi (Armunia), Gilberto Santini (AMAT), Fabio Biondi (L’Arboreto-Teatro Dimora) e Maura Teofili (Carrozzerie | n.o.t e Anni Luce – Romaeuropa Festival), per lo spettacolo Solo quando lavoro sono felice. Lorenzo Maragoni e Niccolò Fettarappa sono in scena con il dilemma più attuale delle nuove generazioni: vivere per lavorare o lavorare per vivere? – come cantava Lo Stato Sociale. Più di tutti lo spettacolo tocca le coscienze del pubblico, le sue nevrosi, la sua ansia per il futuro, il suo disagio. Tra capitalismo, religione del denaro e preghiere-lettere motivazionali al Dio-Io-Lavoro il testo è scritto, in collaborazione con la dramaturg Teresa Vila, con arguzia e intelligenza, porta spesso alla risata, alleggerisce la traumatica verità sulla nostra identificazione con il lavoro e la produttività, sulla totale assenza di tempo per ascoltare sé stessi, per dedicarsi a quell’Io che è ormai un tutt’uno con il pc e l’ufficio. Una boccata d’aria fresca e di solidarietà in un momento in cui i giovani (e sicuramente anche i meno giovani) non riescono ad essere felici.
La mattina di domenica 10 concludono il festival due spettacoli.
Assolutamente poetico è CartaSìa di e con Miriam Costamagna, Andrea Lopez Nunes e Andrea Rizzo/ Giovanni Consoli, portato in scena dalla Compagnia Drogheria Rebelot. Lo spettacolo è un esempio di teatro fisico e di figura dove danza, musica e movimenti scenici raccontano la storia di Bruno, artista in crisi e privo di idee alla vigilia di una mostra importante. La carta gli viene in aiuto costruendo una figura umanoide. Il teatro su nero suscita nel pubblico la reazione dolce e infantile della meraviglia. L’interrogativo «ma come è possibile?» fa sporgere gli spettatori fuori dalle loro poltrone per tentare di scoprire il trucco di quella magia. I contrasti tra luce e ombra disegnano immagini pastello come quelle che si trovano sui libri di fiabe illustrati per bambini. Un vecchio mobile di legno prende vita. La carta si anima, si gonfia. Sembra respirare e ad ogni respiro assume una forma: una mano, un piede, un tronco, un volto. L’artista incarna la figura di un moderno Geppetto che scopre con stupore come un oggetto possa avere un’anima, come possa muoversi o, addirittura, danzare.
Così la danza finale dell’uomo-artista con l’uomo di carta diventa un atto d’amore in cui ci si permette di aprire il cassetto dei sogni e della fantasia. L’assenza di parola, contribuisce a non infrangere questo scenario onirico, così fragile e perfetto al tempo stesso nella sua danza.
L’ultimo lavoro in scena a Forever Young viene proclamato vincitore. La giuria non ha dubbi: «Ogni fiaba ha i suoi mostri. E a volte anche la vita. Tra favola nera e autofiction prende forma una drammaturgia – della parola, del suono e delle immagini – in sottile e sensibile equilibrio nel difficile racconto di un’infanzia violata e dei riverberi di questa violenza nell’età adulta. Lucido, affilato, lontano da tentazioni retoriche, “Personne” colpisce al cuore per la capacità di andare oltre il fatto di cronaca trasfigurandolo in potente fatto teatrale». È questa la motivazione con cui i giurati decretano la vittoria di PERSONNE, chroniques d’une jeunesse, lo spettacolo della Compagnia Fiore/Rossi. In scena Ugo Fiore dà vita, con i toni ambigui, e tuttavia delicati, a una fiaba nera, l’incontro con il Mostro, quell’ignoto di cui ogni bambino ha paura ma dal quale è inspiegabilmente attratto. Federica Furlanicura il progetto sonoro e accompagna questo monologo bilingue, italo-francese, realizzato con la drammaturga Livia Rossi. Scorrono le diapositive dei ricordi di Ugo e della sua infanzia violata per trasporre attraverso la drammaturgia un fatto di cronaca sul palcoscenico. Lo spettacolo indaga come l’osceno e il proibito possano influenzare il quotidiano, acuire il malessere psichico attraverso la vergogna e l’incomunicabilità. Alla Compagnia Fiore/Rossi viene così riconosciuto il premio di produzione (pari a € 8.000,00) e l’accompagnamento da parte de La Corte Ospitale nella distribuzione dello spettacolo per le stagioni 2022-2023 / 2023-2024 come produzione del centro. Lo spettacolo sarà ospitato anche a Milano all’interno delle giornate di Hystrio Festival nel 2023 grazie all’accordo stretto con Associazione Hystrio.
Durante questa edizione, la rassegna Forever Young per la prima volta si è aperta all’internazionalità ospitando il progetto vincitore della rete franco-belga Premisses, di sostegno e accompagnamento a giovani professionisti dello spettacolo dal vivo e gemellata con La Corte Ospitale. Grazie a questo partenariato la Compagnia Fiore/Rossi, con lo spettacolo PERSONNE, chroniques d’une jeunesse, volerà in Francia nella seconda metà di settembre, mentre lo spettacolo vincitore del progetto Premisses, LETTRE À UNE DEUXIÈME MÈRE – Soliloque épistolaire, di Constance de Saint Remy e con Camille de Sablet, che esplora l’eredità di Simone de Beauvoir per capire come il suo pensiero, all’avanguardia ai suoi tempi, risuoni ancora oggi, è andato in scena fuori concorso all’interno della due giorni a Rubiera.
Così si conclude Forever Young, festival in cui trionfano tematiche giovanili, in cui si indaga l’inconscio, il disagio, le paure, l’ignoto, la fantasia. In altre parole, l’umano. Affrontando il tutto con il delicato cinismo, tra il sogno e l’ironia, tutto tipico dei ‘nostri’ under 35. Giovani abbastanza per sognare il proprio futuro ma non abbastanza giovani per ironizzare sui propri sogni. Giovani sognatori, insomma, ma disillusi quel tanto che basta.
[Immagine di copertina: La Corte Ospitale. Foto di Marco Cecere – Gruppo Fotografi Rubiera]