Arti Performative Focus

Ritratto di scrittrice e donna (di teatro): Maria Inversi, e la sua Carmen Sylva

Chiara Nicolanti

Debutta in prima nazionale “Elisabetta di Wied. Sotto falso nome” di Maria Inversi al Teatro India. Qui, il racconto dell’incontro fra lei e la nostra Chiara Nicolanti

Il 3 e il 4 dicembre andrà in scena al Teatro India di Roma Elisabetta di Wied. Sotto falso nome, scritto e diretto da Maria Inversi.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con questa donna, artista, dal temperamento vivace e dalla cultura invidiabile, e ci siamo lasciati trasportare in altri luoghi, altri tempi. Dalla Romania di fine Ottocento, alla Parigi della Sorbonne e dei cafè anni Ottanta (in cui incontra la danza butoh, che porterà per prima in Italia), all’Italia degli anni Novanta e alle sue conquiste sociali: basti pensare alle norme contro la violenza sessuale firmate nel 1996, dopo venti anni di lotta – che la stessa Maria Inversi ha portato avanti fino al 2006 – alla violenza su minori e donne, argomento di cui, ancora non si poteva parlare e di cui oggi, finalmente – ma anche purtroppo – si parla molto nelle televisioni nazionali e private.

A far da traino a questo viaggio dai ritmi incalzanti e dai continui rimandi e salti temporali, il femminile.

Maria Inversi ha fatto della donna (e del suo incontro con l’altro, con l’uomo), della ricerca della sua anima in quella di personaggi storici spesso quasi completamente dimenticati, il leitmotiv del suo teatro, dei suoi studi e della sua vita d’artista; da quel primo spettacolo, nato per caso, dall’incontro con l’iconografia di un’artista il cui nome scompariva in quello dell’amante: «allieva e amante di Rodin, così veniva menzionata Camille Claudel (Camille C…)». Il suo nome inghiottito da quello maschile, come se la sua stessa identità potesse esserne inglobata. E, in effetti, di lei il tempo ha lasciato poche tracce. Neanche la raffinatezza delle sue opere ha saputo salvarla da un oblio dettato nel nome del maschile.

Come il nome Camille Claudel, quello di tante altre donne, ingabbiate (anche fisicamente) in una società che nega la loro essenza, che vede nella libertà d’espressione femminile un pericolo, soprattutto nel campo artistico. Perché se è vero che del femminile, della bellezza del femminile, sono piene finanche le nostre chiese, c’è da riflettere sul fatto che nei dipinti ritraenti le madonne sofferenti o intente a dare il seno al proprio santo, potentissimo bambino, non vi siano mai donne reali, ma ideali, perché – spiega Maria Inversi – «La donna ha culturalmente una soggettività che passa attraverso lo sguardo maschile». La verità della donna passa sotto la lente dell’uomo, che la trasforma in un’idea, spogliandola, di nuovo, di identità, unicità: «Questo non vuol dire negare quella bellezza», sottolinea, «anzi, quella bellezza dovrebbe appartenere a tutto il mondo, dovrebbe spronarci ad essere meno piccoli, ad essere grandi. Ma allo stesso tempo non deve costringerci ad essere madri, suocere…».

E contro la costrizione dell’essere incastrate in un ruolo si batte anche l’ultimo dei personaggi da lei affrontati, la regina romena Elisabetta di Wied (1843-1916), altrimenti (s)conosciuta come poetessa e scrittrice sotto lo pseudonimo di Carmen Sylva. Una donna potente, intelligente ed estremamente consapevole dei limiti e dell’etica intrinsechi nel ruolo politico e sociale di cui è investita, ma anche abbastanza risoluta da non lasciarsi schiacciare dall’immagine pubblica.

«Ho incontrato Elisabetta mentre ero alla ricerca di una scrittrice romena, che non trovavo. Quando ho trovato Carmen Sylva, mi sono ritrovata tra le mani anche una regina». Una donna di cui si sapeva poco, pochissimo. In Italia non esistono traduzioni delle sue opere, dei suoi aforismi. Tanto che Maria ha potuto apprezzarne la scrittura, e quindi risalire al suo carattere, alla sua estrema modernità, grazie alle traduzioni simultanee di Tatiana Ciobanu.

Ne esce fuori un testo teatrale la cui verità storica è pari forse al 10% (come per molti dei suoi testi, sempre a causa della scarsità delle fonti), in cui le parole di Elisabetta e quelle di Maria si perdono le une nelle altre, per poi sciogliersi nel canto e nella chitarra di Virginia Guidi e volare nel corpo e nell’interpretazione di Valeria Mafera.

Di nuovo, per Maria Inversi in scena c’è una donna, o meglio: «la forza e il coraggio delle donne. O la loro estrema debolezza».

I suoi sono personaggi sempre in lotta, o meglio, sempre in relazione con l’uomo o, in sua vece, con la società da lui plasmata. Una relazione che può essere edificante o distruttiva. La posta in gioco è l’affermazione della soggettività femminile: mostruosa a volte, abnorme, tale da negare la soggettività dei propri figli (come nel caso di Medea –Symphonìai Medea – o della Franzoni –Smemorata), ma è una soggettività finalmente libera da schemi e preconcetti. Vera, reale, viva.

 

Per chi volesse, è aperta una campagna di crowdfunding per sostenere questo spettacolo e dargli modo di incontrare quante più piazze è possibile. Sarebbe riduttivo spiegare perché il teatro italiano ha bisogno del sostegno, anche materiale, degli italiani in questo momento storico. La speranza, per continuare a godere dei frutti di questa arte, è proprio che «il pubblico si attivi per sostenere quest’arte povera, che porterà il suo nome, come quello di un piccolo mecenate».



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