Cinema

Focus: Le Iene, Vent’anni sulle spalle e non sentirli

Cristina Lucarelli

Quentin Tarantino festeggia i 20 anni del suo primo figlio uscito nelle sale il 23 Ottobre 1992: Reservoir Dogs

C’era una volta, vent’anni fa, un ragazzone di Knoxville (Tennesse) che rispondeva al nome di Quentin Tarantino. Il ventinovenne statunitense aveva un passato da commesso in un videonoleggio, l’oramai famoso Manhattan Beach Video Archives, e una valigetta nella mano. Solo che questa non era piena di sogni – quelli, ormai, si avviavano sul cammino della realtà – ma conteneva una refurtiva in diamanti e magari una Smith & Wesson 1911. Era il 1992 e la fabbrica Tarantino apre i battenti, ‘sparando’ sfacciatamente un capolavoro destinato ad alzare un grande polverone. Dopo essere passato quasi inosservato al Sundance Film Festival, nel giro di un paio di anni divenne un cult movie. Il successo fu in parte dovuto al ‘circuito automobilistico di Cannes’, dove Reservoir Dogs sfrecciò a tutto gas ammaliando la critica europea. Noi, popolo di cinefili, festeggiamo oggi il ventesimo compleanno di questo evergreen, nuovamente al centro delle discussioni da quest’estate. Infatti, le candeline sulla torta le spegniamo con un soffio malinconico e il dessert, già dal primo morso, non ci pare molto dolce come ricordavamo. Questo perché, come in molti sapranno, nei giorni dal 26 al 28 giugno e dal 6 al 13 luglio scorsi, il circuito The Space Cinema ha riportato sì in sala il lavoro a firma di Tarantino, ma lo ha mutilato come si trattasse dell’adolescente di turno seviziata dall’orrorifico mostro famelico nascosto laggiù nel bosco.

A questo punto, quindi, credo sia il caso di lasciare da parte questa vicenda e dedicarci a celebrare in ben altro modo il ventesimo anno di vita di un lavoro che merita stima e considerazione. Inizia nel 1992 la favola Tarantino, quando con un budget di circa 30.000 dollari decide di girare Reservoir Dogs. Ma il destino riserva futuro migliore alla sua ‘creatura’. Lawrence Bender, produttore esecutivo, fa leggere il copione ad Harvey Keitel e in quel momento le carte si sparigliano. L’arcano che legge Keitel gli prospetta il successo, lui ci crede e decide di co-produrre la pellicola. Il titolo originale del film, oramai più che ‘maggiorenne’, Reservoir Dogs evoca la trama. Un gruppo di gangster, braccati dopo una rapina di diamanti andata per il verso sbagliato, cercano rabbiosi, come animali che fiutano il sangue della preda, la spia che si nasconde tra loro, nel deposito in cui si sono rifugiati e condannati a restare intrappolati senza scampo. Sebbene iscritto al genere del gangster movie, a Le Iene non mancano gli spunti ironici tipici della black-comedy. L’intento di Quentin è evidente fin dalle prime battute: è il piano dialogico il fattore dominante, mentre le immagini si piegano al volere-potere delle parole. Quentin è fatto così. Preferisce magari lavorare per ellissi, non mostrare il momento topico, ciò che chiunque altro avrebbe creduto fondamentale (vedi, appunto, il furto dei diamanti) per fartelo vivere attraverso le parole dei protagonisti e le conseguenze, sempre estreme, di ciò che è rimasto nell’ombra, qualcosa su cui puoi solo fantasticare. Il non mostrare la rapina è forse la scelta più geniale dell’intero prodotto e permette di fuggire paragoni con opere analoghe. E se la gioielleria rimane fuori ben volentieri dal cine-occhio di Tarantino, ciò che invece è risulta essere il baricentro narrativo dell’intera vicenda è il fatiscente deposito, in cui convergono i personaggi, metastasi impazzite di una società ridotta ad un cancro inguaribile. La loro è una comunità malata, i protagonisti si trovano tra le schiere di quei ‘vivi che in realtà sono già morti’, e le loro maschere si sgretolano una dietro l’altra nel tentativo di sconfessare la talpa. Ma in fondo, quell’oscura signora chiamata Morte, in Tarantino non è mai solo un boia crudele, perché se ti uccide lo fa con un sorriso che le increspa il volto. Il finale conferma la superiorità dei personaggi: si odono degli spari confusi mentre l’inquadratura resta su un volto, che poi esce dalla visuale per mostrare l’ossimoro conclusivo: l’assenza di personaggi che, lentamente, si sfoca chiudendo la pellicola. E’ il vuoto cinico a chiudere il cerchio e, senza personaggi, non ha scopo di esistere la scena e il film stesso. La sceneggiatura di Reservoir Dogs proviene da una visione idiosincratica del cinema di rapina al quale l’autore ha applicato il suo personale ‘setaccio culturale’, lasciando cadere nel ‘contenitore-film’ gli elementi che ha privilegiato di un determinato filone e, dall’altra parte, ha lasciato fuori ciò che non desiderava far vedere. Per cui il suo stile riflette anche ciò che noi vogliamo vedere: ci fidiamo del suo gusto, delle sue scelte, e se siamo destinati a non poter osservare e scoprire tutto ce ne facciamo una ragione e godiamo in egual modo dello spettacolo che ci viene propinato. Ma una ragione non ce la facciamo neanche un po’ se sono gli altri a scegliere per noi, come il circuito The Space che, invece di festeggiare questo meraviglioso compleanno con la visione integrale del prodotto, ce ne offre il cadavere. Smembrato, mutilato, sviscerato, privato della sua identità, ‘Le Iene’ non è ciò che noi abbiamo visto ad occhi spalancati e meravigliati vent’anni fa. Allora propongo di festeggiare a modo nostro, magari un po’ vintage, tirando fuori il VHS de ‘Le Iene’ che avevamo comprato due decenni fa, dando una spolverata al videoregistratore e sorseggiando la nostra bevanda preferita, immaginando che sia lo stesso Cristal bevuto da Chester Rush in Four Rooms. E dopo le celebrazioni di rito, il nostro Quentin lo attendiamo al varco con l’opera ultima, Django scatenato, augurandogli che potremo continuare ora e sempre a parlare bene di lui.

Cristina Lucarelli 



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti