Libri

Focus. Back On the Road

Mariangela Sapere

Sulle strade di Jack Kerouac e della Beat Generation

Tre settimane, tanto ha impiegato Jack Kerouac a scrivere On the Road, il romanzo destinato a diventare il culto di varie generazioni e il simbolo della Beat Generation. Tre settimane e un rotolo di carta da telescrivente. Quel rotolo, lungo 36,6 metri, è esposto alla British Library di Londra fino al 27 dicembre. Era l’aprile del 1951, e Kerouac scelse di infilare nella macchina da scrivere quell’insolito supporto per non essere costretto a interrompere il suo flusso creativo. E in effetti quella scelta risulta connaturata all’essenza stessa di On the Road (Sulla strada). Il modo in cui il romanzo fu scritto divenne ben presto leggenda anche grazie alla definizione che ne diede l’amico poeta Allen Ginsberg, chiamandolo uno «spontaneous bop prosody»; un modo sintetico per riassumere quello che gli scrittori beat volevano realizzare. Lasciandosi ispirare dalla musica che ascoltavano, aspiravano a una prosa modellata nello stile del bop e del jazz, inglobando nel loro modo di scrivere elementi come il ritmo e l’improvvisazione. Un’esaltazione della spontaneità con cui la scrittura fluiva riversandosi direttamente sul foglio.

Il primo libro beat ad essere pubblicato fu, precisamente sessant’anni fa, Go di John Clellon Holmes. Fu lo stesso Holmes a sancire pubblicamente la nascita del fenomeno beat con un articolo intitolato This Is the Beat Generation, che apparve sul New York Times Magazine il 16 novembre 1952. Con quell’articolo l’autore formalizzò l’esistenza di una generazione del dopoguerra, difficile da etichettare, che sembrava mossa da un qualcosa che aveva a che fare con l’essere e il sentire dentro di sé una sorta di nudità della mente e dell’anima. Ma è solo cinque anni dopo, che, con On the Road, quella generazione riceve il proprio manifesto.

Intanto la cerchia degli scrittori beat era nel pieno dello sforzo creativo e riportava, sia nello stile di vita che nelle opere, una sorta di ribellione contro il conservatorismo e il conformismo sociale e stilistico. La sfida all’american dream post-bellico comincia ad esplicitarsi attraverso la creazione letteraria: è il 1955 quando Allen Ginsberg scrive Howl (Urlo), poema fluido e psichedelico, in cui l’America appare come una matrigna malvagia. Quella stessa America intentò contro l’autore e l’editore ˗ Lawrence Ferlinghetti ˗  un processo per oscenità, terminato con l’assoluzione (il caso è narrato nel film Howl di Rob Epstein e Jeffrey Friedman del 2010). Il medesimo trattamento ˗ e questo fu uno degli ultimi casi di libri processati per oscenità ˗ sarebbe stato riservato, nel 1959, a William Burroughs e al suo Naked Lunch (Pasto nudo). In quest’opera Burroughs  sperimentava, spinto da Ginsberg e Kerouac, la tecnica del cut-up, mettendo insieme brandelli di testo apparentemente sconnessi, che nelle sue intenzioni rappresentavano il modo in cui la mente umana si frammenta per sottrarsi ai tentativi di controllo dello Stato o di altri ordini e sistemi.

Il forte senso di amicizia che legava i primi esponenti della Beat Generation non era un elemento secondario: i rapporti interpersonali che si intessevano lungo le strade, nei bar, nei covi provvisori e decadenti, erano il punto di forza di questo gruppo di individui che viveva e si muoveva in una dimensione di marginalità rispetto ai poteri egemoni, alla società rispettabile e rispettata. L’amicizia era una via di fuga insieme all’alcol, alla marijuana, alla benzedrina, e al tempo stesso uno dei valori autentici che spingeva a partire, ad andare da un capo all’altro dell’America.

Questa cerchia di amici la ritroviamo ritratta in On the Road. Il romanzo, fortemente autobiografico, non fa altro che raccontare le esperienze vissute da Sal, l’alter ego di Kerouac, Dean Moiarty (Neil Cassidy), Carlo Marx (Allen Ginsberg), Old Bull Lee (William S. Burroughs) e tanti altri nel loro vagare continuo. Proprio quel vagare, quell’essere sulla strada esprime l’essenza della cultura beat. Stare sulla strada è un modo di vivere, in cui non conta la meta ma il viaggio, gli incontri, le soste, la continua ricerca di qualcosa che si trova sempre più a ovest, fino a quando a ovest dell’Ovest c’è solo il mare, e allora si dirige l’attenzione altrove. Un altrove che si sposta di volta in volta, in un viaggio fisico e mentale, alla ricerca dell’amore, dell’amicizia, della comprensione e alla riscoperta della parte selvaggia e vera dell’America che si annida sotto le convenzioni. Si va finché si può e ogni tanto si fa una pausa e si torna a casa. Scrive Kerouac: «Era il crepuscolo. Dov’era Hassel? Setacciai la piazza per cercarlo; non c’era, era a Riker’s Island dietro le sbarre. E dov’era Dean? Dov’erano tutti? Dov’era la vita? Avevo la mia casa dove andare, il mio posto dove appoggiare la testa e calcolare le perdite e i guadagni che dovevano pur esserci da qualche parte, lo sapevo».

Si viaggia, si vivono momenti bui e illuminazioni improvvise, poi, una volta fatto il punto, di nuovo si fa viva quell’irrequietezza che impedisce di stare fermi, che muove a partire, pochi dollari in tasca, per una nuova scorribanda sulla strada.

Sull’onda dell’omonimo film di Walter Salles (2012), si può rileggere On the Road con altri occhi, magari più maturi, ma ci si troverà sempre ad un certo punto a provare un sentimento simile alla nostalgia, a desiderare di essere stati almeno una volta su quella strada, di essere nati in un’altra epoca e in un altro posto, di poter recuperare quell’innocenza infantile che spinge a voler vedere il mondo con i propri occhi, chilometro dopo chilometro, con la pretesa e l’illusione che solo così lo si possa comprendere davvero.

Per i nostalgici, Shout! Factory ha pubblicato una riedizione di What Happened To Kerouac? (disponibile solo negli Usa e in Canada). Una esplorazione intima della figura di Jack Kerouac, del suo stile, del suo background e del suo declino verso l’alcolismo. Due dvd con registrazioni audio e video delle performance di Kerouac che legge i propri scritti e una serie di extra, tra cui interviste e testimonianze dei membri della Beat Generation: Allen Ginsberg, Gregory Corso, William S. Burroughs, John Clellon Holmes, Carolyn Cassady, Steve Allen, e tutti gli altri che un po’ ci sembra di aver conosciuto attraverso le parole di Kerouac.



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