Arti Performative

Finché morte non ci separi – Il teatro contro il femminicidio

Marcella Santomassimo

Il 25 novembre, nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è andato in scena, in più di venti teatri italiani, “Finché morte non ci separi” di Francesco Olivieri, la storia di due donne uccise dai loro rispettivi compagni.

Una bella iniziativa nella giornata internazionale contro il femminicidio è stata quella organizzata dall’associazione culturale Liberi Pensatori “Paul Valley” di Torino insieme a Francesco Olivieri, autore del testo Finché Morte Non Ci Separi, andato in scena in contemporanea in molti teatri italiani e non: da Milano a Torino, da Roma a Bari, da Cagliari a Palermo fino a Londra e Bangkok. A Roma è stato il Teatro Valle Occupato a farsi cornice e promotore del progetto, mentre sono state l’attrice Monica Scattini e la violinista Julia Kent a dargli vita sullo storico palco. Uno splendido assolo di violino immerge il pubblico in un’atmosfera altra, lo prepara all’ascolto, lo sensibilizza con note dolci, profonde ma graffianti. Sul fondale cinque donne vestite di nero fungono da scenografia umana, al centro del palco due pilastri di freddo grigio emettono dall’interno una luce argentata. Con un po’ d’immaginazione le due colonne potrebbero rappresentare le porte di un mondo altro, del famoso paradiso nel quale due donne, alle quali Monica Scattini dà voce, non avrebbero dovuto trovarsi, o quantomeno non uccise dal proprio uomo.

Due donne completamente diverse, con modi di vivere la loro esistenza totalmente agli antipodi, ma accomunate dallo stesso destino che le vuole morte, uccise dalla mano furiosa e folle di un uomo. Federica Mellori è una donna che sa bene cosa vuol dire subire violenza da parte del proprio uomo: l’ha vissuto sulla pelle di sua madre e lo prova ogni giorno sulla propria, essendo maltrattata da un marito camionista, non di certo un principe azzurro nell’aspetto e nel carattere, ma “biondo dentro” come ella lo definisce, e che allo stesso tempo giustifica, compatisce e odia. Lo maledice mentre in disparte assiste al suo funerale, ma subito si autocensura sostituendo la sua maledizione con un “caro lui”. Odia e compiange anche la sua bambina, parte di un circolo vizioso che, se per sua madre ha avuto fine alla morte del babbo, per lei, la liberazione avviene nel momento della sua stessa morte.

Una donna su tre ogni anno muore uccisa da un uomo.

Se le cose stanno così… allora forse la figlia di Federica potrà salvarsi.

Ipazia Fiorentini è invece una donna che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, una manager in carriera che convive con il suo compagno; un avvocato, un principe, un uomo perfetto, bello e biondo e soprattutto innamorato; sua figlia, avuta da una precedente relazione; e il figlio di lui, anch’esso frutto di una passata unione. Sua madre era un’insegnante di filosofia, suo padre invece un famoso regista che le ha trasmesso i valori della lealtà e della complicità. Un’educazione, uno stile di vita nel quale la torbida scintilla della violenza non è mai entrata e mai sembra possa riuscire a penetrare questa serena realtà. Il movente: la gelosia. Il principe azzurro uccide Ipazia con un colpo di pistola.

Forse era scritto nel suo nome che sarebbe morta a causa della folle passione di un uomo, come Ipazia d’Alessandria, la martire filosofa pagana, prima matematica della storia, che fu vittima del delirio di  uomini cristiani in tumulto, lei che, come la nostra Ipazia, cristiana non era.

Tra le due donne, un intervallo musicale, un cambio d’abito dell’attrice fiorentina: prima più semplice e dismesso per Federica Mellori, poi più elegante e femminile per Ipazia.

Entrambe nere, entrambe rosse.

Entrambe ci salutano allo stesso modo:

Io vi lascio signori miei: una ragazza, una donna, una femmina, ammazzata, ancora una volta.

Le stesse parole di congedo in crescendo rimbombano e fanno eco, nello stesso momento, in altri teatri, in altre donne, in altri uomini.  


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  • Titolo originale: Finché morte non ci separi

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