Arti Performative Focus

Il festival Danza Urbana a Bologna: dal centro alla periferia

Roberta Leo

Spazi urbani marginali, colline, piazze, giardini, centri sociali, chiese e tanti altri piccoli gioielli di grande valore storico-artistico. Sono questi i luoghi bolognesi in cui dal 5 al 10 settembre ha preso vita e spazio Danza Urbana, festival internazionale di danza nei paesaggi urbani diretto da Massimo Carosi dal 1997. Il festival crea ponti tra culture e luoghi geografici esplorando le strade che il corpo può percorrere se messo in relazione con traiettorie ed estetiche differenti. Gli spettacoli in programmazione inglobano lo spettatore-cittadino nella personale ricerca coreografica degli artisti conducendolo alla ri-scoperta della città di Bologna. Questa mantiene il suo primato tra  le città più fertili in cui far crescere l’arte e la cultura: da Porpora che cammina, spettacolo itinerante e viaggio a piedi per 18 spettatori dal centro urbano alla collina, fino all’incontro con i maggiori pionieri della danza contemporanea italiana e internazionale, il festival veicola i suoi messaggi di scambio e inclusione.

Il Parco 11 settembre ospita Trial di Tu Hoang (in scena con Tuan Tran) e do-around-the-world del collettivo Parini Secondo, due performance che esplorano la dimensione del duo in modo completamente diverso. Il primo vede due danzatori muoversi in modo apparentemente identico. Fluidi e armoniosi segnano con il loro respiro la danza e ansimando sempre più forte scandiscono il tempo di ogni movimento fino a distaccarsi lentamente. Le loro dinamiche si fanno sempre più distanti e anche solo pochi dettagli sembrano metterli in contrasto. Il secondo duetto, stavolta al femminile, usa lo sport, in particolare il salto della corda, come strumento sonoro e coreografico. Con la collaborazione del musicista e artista Glauco Salvo e del fotografo e performer Pier Paolo Zimmerman le danzatrici Sissj Bassani e Martina Piazzi riescono a trasformarsi da atlete e mere esecutrici ginniche a generatrici di onde acustiche. Le loro corde si fondono e grazie ai loro movimenti sincronizzati diventano un’unica spirale sonora.

HellO° di Kinkaleri nell’ex Chiesa di San Mattia accoglie la danza di Michele Scappa. Il suo corpo, completamente nudo, si fa parte stessa dell’installazione ricavata nella piccola chiesa sconsacrata dove si muove su tappeti riflettenti che egli stesso srotola uno a uno. È la celebrazione del corpo, delle sue tensioni e fragilità, si esasperano gli equilibri ma il virtuosismo della forma fisica non è fine a se stesso bensì mitigato da una spiccata teatralità dell’interprete. Una pellicola frammentata in bianco e nero dal sapore erotico scorre ripetutamente sullo sfondo rimbalzando la luce di nudi maschili e femminili sulle pietre e sui marmi della chiesa. Qualche indumento si aggiunge sul corpo del danzatore, lo copre, lo protegge rendendo il suo movimento ancora più enigmatico. L’effetto è una sorta di catarsi del corpo stesso.

Nella stessa cornice Francesco Marilungo presenta Stuporosa. Questo lavoro interpretato da Alice Raffaelli, Barbara Novati, Roberta Racis, Francesca Ugolini e Vera Di Lecce (che è anche music e vocal coaching) è la celebrazione parossistica della morte e del pathos, l’enfatizzazione del dolore, inteso e spiegato attraverso un rito arcaico fatto di forme e figure comunitarie. Si danza, infatti, spesso in cerchio ma i girotondi vengono interrotti da pianti e lamenti, sonorità vocali, lacrime e sospiri. Le danzatrici, vestite di nero, ricordano certe prefiche del mondo antico; camminano a piccoli passi, strisciando velocemente i piedi a terra con le mani congiunte o pronte a sostenere le gonne voluminose. Ogni gesto più ampio viene accompagnato da una sacralità che commuove; anche quando, tirati fuori dei fazzoletti bianchi, punti di luce in tutto quel nero, le donne si abbandonano ad un’antica pizzica salentina. Battono i piedi al suolo,  agitano i fazzoletti, ricompongono i loro cerchi, si consolano e sostengono insieme, tornando ad accarezzare quel sentimento di pìetas tanto caro al mondo classico.

Nell’adiacente piazza san Francesco il libanese Bassam Abou Diab fa ballare gli spettatori con Eternal. Grazie ad un interprete il racconto della sua storia arriva al pubblico in lingua italiana e tra aneddoti divertenti e la ‘danza della statua’ (una danza ritmata che lo vede saltare con il pugno stretto verso il cielo a mimare la celebre statua della libertà che lo ha reso celebre sui social), racconta della sua ribellione al sistema politico oppressivo del suo paese. Intervalla il suo racconto danzato con racconti tragicomici in cui al riso sopraggiunge un senso di amarezza. Dopo aver danzato insieme, il danzatore si fa avvolgere in un lenzuolo/sudario bianco dal suo stesso pubblico il quale è invitato a scrivere sul lenzuolo con dei pennarelli la prima parola che gli venga in mente. Libertà, danza, pace sono solo alcune delle parole che si leggono poco dopo sul lenzuolo che ancora lo avvolge quando chiede al pubblico di portarlo via come una salma per una metaforica sepoltura.

“Come neve” di Adriano Bolognino

Dopo la ricerca dei duetti, la tragica liricità assaporata nella chiesa di San Mattia e il corpo politico sceso a danzare e manifestare in piazza San Francesco negli spazi del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna sono degne di nota due brevi e poetiche performance: Come neve di Adriano Bolognino è un lavoro ispirato alla neve che cade lenta e soffice. I dolci movimenti delle danzatrici, avvolte da vestiti colorati fatti all’uncinetto da un gruppo di donne che ha presso parte alla creazione, regalano un senso di pace e benessere, dando finalmente, dopo tanta tragicità, la possibilità di fermarsi e dialogare con se stessi in modo intimo e delicato.

“Breathe With Me a Moment” di Or Marin. Foto di Jesus Robisco

Sempre al MAMbo si guarda ancora al Medio Oriente con Breathe with Me a Moment della coreografa israeliana Or Marin. Questa performance è letteralmente ipnotica. I due bravissimi danzatori Uri Dicker e Tomer Giat rompono i confini di genere, fluidificano maschile e femminile e si mostrano semplicemente come due amanti legati in un unico corpo da un’armonica. La suonano insieme durante un vero e proprio amplesso danzato, scambiandosela di bocca in bocca nei loro baci. Portano all’estremo i loro corpi per non sciogliere i loro abbracci o interrompere il loro flusso di movimento. I loro respiri segnano la partitura musicale della danza che, talvolta, si cristallizza in immagini bellissime: un ponte costruito con le schiene inarcate e la testa rovesciata all’indietro, le bocche unite dall’armonica in un ennesimo bacio. Non mancano le schermaglie amorose, gli sguardi ironici, i picchi di una passione fisica che però non scade mai nell’oscenità. Dolcemente si rivestono, aiutandosi l’uno con l’altro a infilarsi gli indumenti e senza mai interrompere il contatto con l’armonica e la sua musica. Questa terminerà solo una volta conclusa la danza dell’amore e del corpo.

 

[Immagine di copertina: “Stuporosa” di Francesco Marilungo. Foto di Luca Del Pia]



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