Faust, ‘everyman’ nell’alchimia tra Goethe e Gounod firmata Anagoor
Benvenuto, 2018. Al capolinea di ogni anno succede sempre così, che non si può far a meno di guardare ai giorni andati e a quelli che verranno, ci attraversano pensieri su cui piomba un’aura di mestizia ogni volta più fitta. Senza riferirlo, più che al futuro guardiamo a che cosa abbiamo lasciato indietro: successi, conquiste, errori, la nostra giovinezza, quel tempo in cui si poteva nutrire il sentore che gli anni a venire fossero in numero di gran lunga superiore a quelli perduti. Per scrivere qui, sul Faust di Charles Gounod proposto dagli Anagoor e visto in prima assoluta il primo dicembre, al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena che ha prodotto l’allestimento insieme alla Fondazione Teatri di Piacenza e I Teatri di Reggio Emilia, ho dovuto tirare fuori dal cassetto della memoria un ricordo personale – chiedo venia per l’uso della prima persona –; un episodio ricorrente alla data del 31 dicembre durante gli ultimi anni di vita di mio padre: noi, in piedi, in trepidante attesa della mezzanotte per brindare, mentre lui, il più anziano, seduto in poltrona con un’espressione assorta, a osservare un punto indefinito dello spazio avanti a sé. Nel susseguirsi solenne delle immagini che scorrono nel video di introduzione al primo atto del Faust diretto da Simone Derai, il vecchio Goethe nella sua casa a Weimar inquadrato di profilo di fronte al camino e meditativo sul suo poema, ha riacceso nel mio sentire lo stesso umore di cui è pieno, dentro e fuori, quel ricordo.
Scriveva nel 1909 un grande ammiratore e conoscitore dell’opera di Goethe, Rudolf Steiner, che Goethe, al crepuscolo della sua vita, accanto alle preoccupazioni e ai grandi enigmi interiori, provò una commozione simile a quella espressa tra le righe di alcuni suoi versi poetici in cui si sente la calma, la pace di una natura benigna e un’atmosfera giovanile; come di chi rivolge un pensiero agli anni universalmente riconosciuti come i migliori della vita di un uomo; «Nella tarda estate del 1831 Goethe, nemmeno un anno prima di morire, sigillò un pacchetto il cui contenuto doveva rimanere intatto fino alla sua morte. Tale contenuto era la conclusione della grande opera della sua vita, la seconda parte del Faust […] Che cosa si trova mai nella sua vita tra questi due periodi? Che cosa c’è tra quel periodo in cui, da giovane, iniziava a mettere tutto il suo anelito di conoscenza nelle prime parti del Faust, e il momento in cui portava a compimento l’opera poco prima della sua morte?». Sono domande che in un certo senso attraversano la lettura modernissima dell’opera di Goethe messa in musica da Gounod – su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, per la prima volta andata in scena al Théâtre Lyrique di Parigi il 19 marzo del 1859 – riallestita dagli Anagoor, che animati dall’irrefrenabile sete di sperimentazione, con questo Faust si sono confrontati per la prima volta con un’opera lirica. Hanno lavorato sul Faust di Gounod (dramma lirico in cinque atti) assorbendo la sua intrinseca transmedialità, gli sguardi che vi si sono depositati nel corso del tempo, concedendogli lo spazio necessario alla leggerezza e alla fluidità della sua musica, il romanticismo (il testo deriva da una trasposizione teatrale di Michel Carré, che hai poi composto il libretto insieme a Jules Barbier), ma mettendo in risalto la complessità di un’opera, ovvero il precedente letterario tedesco, che è quasi un manifesto del senso d’inquietudine dell’essere umano di fronte alla vecchiaia, alla morte, all’oblio, considerati non solo i temi dell’opera, ma anche le differenti condizioni in cui è stata concepita e terminata dall’autore di Weimar, in giovane età e sul finire della sua esistenza.
Da qui l’interesse a cesellare attorno al dramma musicale, tra un atto e l’altro, una serie di video, molto ben curati da Giulio Favotto, che creano dei ponti con l’anziano Goethe, e poi con Gounod ripreso nel momento in cui gli fu commissionata l’opera che serbava «in grembo» da molto tempo; o che evocano tematiche universali riguardanti, in Occidente e in Oriente, la relazione dell’uomo con il mondo: la natura, la malattia, le età della vita, il rapporto con la religione e il trascendentale. Rimandi che restituiscono al Faust di Gounod ciò che è di Goethe, che aveva concepito il protagonista come una sorta di everyman allegorico.
È questa profondità goethiana cui gli Anagoor hanno dato respiro, che avvicina l’opera al nostro sentire, rendendola quindi “popolare”, e la avvicina anche a un pubblico disabituato alla frequentazione dei teatri lirici. I video, logicamente separati da ciò che accade in scena, svolgono una funzione importante nel predisporre gli affetti dello spettatore, ma senza forzature che apparirebbero stucchevoli, aprendo alla conoscenza di un immaginario vasto dentro cui la comprensione del Faust può muoversi liberamente.
La scena è una sorta di spazioso container dalle gradazioni algide del grigio-bianco, con la presenza di alcuni praticabili che ricordano da vicino le plastiche forme e il minimalismo amati dal padre della scenografia moderna Adolphe Appia (1862-1928), cui si accompagna il disegno luci di Lucio Diana, particolarmente attento alla resa di raffinati giochi chiaroscurali. Faust (Francesco Demuro), vestito con un saio nero e incappucciato, maledice la vita fonte di illusioni. È alla morte che pensa, la morte evocata anche come elemento scenografico, sotto un lenzuolo bianco. Faust torna giovane, promette in cambio la sua anima, tentato da un Mèphistophélès (Ramaz Chikviladze) burlesco, panciuto, in calzamaglia gialla, con il sesso visibilmente pronunciato e con in testa una paradossale tiara papale nera, quasi fosse l’archetipo di un fauno con il torace scoperto, l’accento posto sul capo e sugli arti inferiori. Faust conquista, così, Marguerite (Davinia Rodriguez), la donna che questo Mèphistophélès più umano che demoniaco, come lui teso all’inseguimento dei piaceri, gli aveva mostrato in un’apparizione onirica e nuda proveniente da una piccola finestra in fondo alla scena.
La leggerezza dell’opera musicale romantica, che incornicia la tragica storia di due innamorati, divenuta anche film omonimo (Faust, 1926) di F.W. Murnau citato anche nello spettacolo, si traduce sul palco nella declinazione di elementi visuali verso il tema della ricerca del piacere: le cromie pastello dei protagonisti nei costumi (disegnati dallo stesso regista con Silvia Bragagnolo), le calzamaglie che mostrano forme maschili sessuali pronunciate sintomo di eccitazione, e in generale la separazione in gruppi di elementi femminili e maschili nelle scene corali riflette il desiderio attinente alla natura degli animali di attrarsi e di accoppiarsi.
La trasposizione firmata Anagoor è scorrevole, lineare nell’interpretazione dei suoi segni, così vicina a noi proprio perché in grado di metterci di fronte alle nostre più grandi paure, di interrogarci sulla natura, sul tempo, su cosa saremmo disposti a perdere. Non “osando” troppo, o almeno non come gli amanti del loro teatro di ricerca si aspetterebbero (finendo probabilmente comunque per non accontentare i cultori dell’opera in musica più conservatori), questo Faust rivela un’umiltà sincera degna di un artista e – perché no? – di un alchimista, che, esprimendosi attraverso il culto di svariate discipline, a poco a poco scopre davanti a sé nuovi, immensi orizzonti per la sua ricerca.
Visto al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena il 1 dicembre 2017
Dramma lirico in cinque atti di Jules Barbier e Michel Carré
da Faust di Goethe
Personaggi e interpreti
Faust Francesco Demuro
Mèphistophélès Ramaz Chikviladze
Marguerite Davinia Rodriguez
Valentin Benjamin Cho
Sièbel Nozomi Kato
Marthe Shay Bloch
Wagner Matteo Ferrara
Direttore Jean-Luc Tingaud
Regia Simone Derai
Progetto scenico Anagoor
Regia Simone Derai
Scene e costumi Simone Derai, Silvia Bragagnolo
Video Simone Derai, Giulio Favotto
Asssistenti alla regia Marco Menegoni, Monica Tonietto
Luci Lucio Diana
Orchestra dell’Opera Italiana
Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena
Maestro del coro Stefano Colò
Coproduzione
Fondazione Teatro Comunale di Modena
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Fondazione Teatri di Piacenza