Elvira Frosini – Digerseltz
Elvira Frosini si dà in pasto allo spettatore affamato, in uno spettacolo sul rapporto della società con il cibo
Una volta, durante il Medioevo, e poi con Shakespeare, si diceva “Il teatro è lo specchio del mondo”.
La metafora ora sembra tornare alla ribalta, in tutti i sensi. Perché se la dura legge che governa questo mondo è quella che instilla il germe di una spietata selezione naturale, “Mangia o sei mangiato”, così vale anche per l’attore, che sporgendosi davanti ad altri individui deve riuscire a divorare il “qui” e “l’ora” della vita di qualcun altro, e lasciarsi a sua volta consumare dagli sguardi.
Elvira Frosini. Parrucca bionda spettinata e posticcia, il corpo smilzo, slanciato dalla zeppa delle scarpe un po’ come si usava nel teatro antico per ingigantire la propria figura e catturare l’attenzione, un vestitino colorato che lascia scoperte le sue gambe ossute. In Digerseltz si diverte a sviscerare il teatro dall’interno attraverso la parola, l’espressività, il dialogo con la nostra quotidianità, partendo dai meccanismi drammaturgici, performativi, linguistici che s’innestano in un’idea semplice ma geniale, come il rapporto della società con il cibo. Un rapporto complesso, fatto di arroganti contraddizioni, di metafore, di modelli di comportamento, di rispecchiamenti, di rifiuti organici ed espressi, che oggi ha acquistato una funzione e uno spazio sempre più ampi. Si mangia non soltanto per nutrirsi, ma anche per conversare, per dimenticare, per piacere, per comunicare sentimenti. “Mangia!”, o “hai mangiato?”, non è soltanto una “frase d’amore” come disse saggiamente Elsa Morante, ma può essere pronunciata in mille modi: alcune volte rappresenta una minaccia, un assillo, altre, un’abitudine. Un “rito”. Sembra un rito divertente e giocoso, quello che Frosini mette in scena. Bastano pochi oggetti, figure inanimate e meta-religiose come i pastori di un presepe, per allestirlo: il rito della tavola che ripetiamo ogni giorno uguale a se stesso ma come se fosse l’ultimo. L’Ultima cena di un’esistenza vuota e solitaria come il nostro frigo prima di andare a fare la spesa. La “solitudine del limone” è un’immagine che ci rispecchia.
Elvira Frosini costruisce abilmente immagini attraverso fiumi di parole che incastra perfettamente tra loro in un linguaggio surreale, dove le locuzioni diventano trampolini di lancio per nuove idee, per nuovi legami con il reale e la sua spettacolarizzazione. E’ fantastica nella sua mimica e con la sua voce, lavorata con sapienza insieme a una fisicità che coinvolge tutta la bocca con deglutizioni, salivazione, masticazione, per diventare apparato digerente che rigurgita parole al pubblico affamato di spettacolo. Sa darsi in pasto con eleganza, trasgressione, ironia e intelligenza. Can you eat me?
Dettagli
- Titolo originale: Digerseltz