Cinema Festival

El Año del Descubrimiento

Stefano Valva

L’immagine-tempo oltre ad essere il titolo del secondo volume dell’excursus sul cinema di Gilles Deleuze, è anche una teoria, tanto ambiziosa, quanto rivelatrice: Dopo un periodo classico caratterizzato dall’immagine-movimento, la settima arte attraverso autori e avanguardie dal secondo dopoguerra andò verso ulteriori orizzonti, ossia verso un linguaggio caratterizzato a livello estetico e narrativo dalla rappresentazione tout court della temporalità, ma anche della sfera mnemonica e dell’onirismo. 

L’introduzione accademica potrebbe proseguire, eppure basti solamente sottolineare che tale studio filosofico – oltre ad essere esaustivo per un’analisi completiva sul cinema moderno – riecheggia inevitabilmente e ancor più del solito dopo la visione del film del regista spagnolo Luis Lopez Carrasco, ossia El Año del descubrimiento (The year of the discovery), presentato in digitale allo scorso Filmmaker Festival. 

In primis, il regista in virtù della citata immagine-tempo sceglie la forza estetica delle inquadrature, del decoupage, ossia della regia, più che la forza narrante del montaggio. L’opera è tutta in split-screen, ove in un bar di Cartagena (cittadina operaia del sud della Spagna) si alternano e si mettono in parallelo interviste e situazioni del e sul 1992, e dei giorni nostri. L’obiettivo dell’autore, è proprio quello di accomunare le insurrezioni del 1992 (derivanti indirettamente dagli effetti del trattato europeo di Maastricht) e la situazione contemporanea, caratterizzata da una crisi economica post-2011 e post-fallimento della Lehman Brothers (su tale tema è utile e dilettevole la visione di una delle serie sky original più interessanti di quest’anno, ossia Diavoli).  

Quasi duecento minuti di video di repertorio e di interviste, nelle quali gli abitanti di Cartagena disquisiscono sulla propria esistenza, in funzione della raffigurazione di una crisi sociale ed economica in Spagna che perdura da anni, e che nel caso microcosmico è dovuta a causa della chiusura in quel 1992 dei cantieri navali e delle fabbriche, che hanno innalzato il tasso disoccupazione, mentre un intero paese era troppo affascinato e distratto dalle Olimpiadi e dall’Expo. Un film in superficie di carattere storico, eppure in profondità Carrasco non vuole soltanto riportare a galla le vicende e i sentimenti degli Anni ’90, altresì con il passato analizzare anche il presente, così da unire le due differenti temporalità, per soffermarsi sulle somiglianze e sull’andamento ciclico della propria nazione e delle società postmoderne in generale, condizionate dall’instabilità e dalla continua mutazione dei contesti. 

Lo split-screen diviene un mezzo singolare, sperimentale, che divide il plot, inserendo più materiale da reportage giornalistico possibile nel calderone, così da creare anche una visione tanto affascinante, quanto spossante per lo spettatore, chiamato ad una lucidità estrema, per captare ogni peculiarità visiva e contenutistica del documentario. 

Solo con una buona dose di conoscenza di storia della moda (chi ha letto qualcosa di Simmel ne trarrà vantaggio), e attraverso alcuni frame nei quali vengono citati i social network (quindi i pochi momenti in cui si dividono nettamente i due tempi storici) si possono scorgere le sottili differenze tra ricordo e realtà. 

D’altronde, lo split screen non è del tutto permanente, in alcuni frangenti viene annullato, poiché una metà è oscurata e il focus dello spettatore si può concentrare su di una singola intervista, costituendone anche un momento di pausa dalla visione prettamente dualistica, la quale è stoppata anche durante le dissolvenze e le didascalie, nelle quali vengono chiariti e delineati gli eventi e i relativi effetti del 1992, in una Spagna post-franchista. 

Nel complesso, il titolo dell’opera è sia esemplificativo, sia fuorviante, perché El Año del descubrimiento è un documentario non solo da racconto didascalico di 365 giorni importanti e tragici per la comunità spagnola (soprattutto per la working class) e per l’Europa in generale. È un’analisi senza filtri, senza pubblicizzazioni, senza schieramenti, sulle peculiarità della moderna democrazia, quella conseguente alla caduta dei totalitarismi e delle monarchie assolute, e figlia dei fenomeni della globalizzazione, del post-capitalismo, del libero scambio di mercato, che hanno abbattuto non solo le piccole-medio imprese, ma anche il lavoro – almeno quello stabile – nei contesti rurali, quindi in province come Cartagena. 

Una località conosciuta da sempre per il caos e lo spirito rivoltoso (affascinante la digressione storico-antropologica in una delle molteplici interviste, nella quale si immagina una maledizione da inconscio collettivo che ha colpito la città, dopo che Annibale partì da lì alla volta della conquista dell’impero romano), quindi territorio non solo di operai, ma anche di eterni guerrieri. 

L’immagine-tempo qui è esteticamente meno fascinosa, bensì più realistica, più amatoriale, più scarna, più da esperimento e da pastiche, così da formare un’opera in rapporto con la storia, col mondo, con le persone comuni, tra passato, presente e preoccupazioni/previsioni per il futuro, sia sull’evoluzione o involuzione della società in virtù delle attuali caratteristiche antropologiche, sia sull’assuefazione forse meno in evidenza – eppure lo stesso esistente – nei confronti di una classe sociale, da sempre raggirata e alla mercé di chi detiene il potere. 


  • Diretto da: Luis Lopez Carrasco
  • Prodotto da: Luis Lopez Carrasco, Luis Ferron, David Epiney, Daniel M. Caneiro, Ricard Sales, Pedro Palacios, Marta Lacima Ligero
  • Fotografia di: Sara Gallego
  • Durata: 200 minuti
  • Paese: Spagna
  • Lingua: Spagnolo

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