Editoriale Arti Performative Ottobre ’12
La critica delle arti performative sta vivendo in questo momento un periodo di grande transizione; da un lato il ricordo dei grandi che hanno imperversato per decenni con articoli raffinatissimi sui quotidiani come Franco Quadri o Alberto Arbasino, e dall’altro l’esigenza di essere sempre più vicini ad un pubblico e ad una comunicazione che è notevolmente cambiata nel corso degli anni.
La critica delle arti performative sta vivendo in questo momento un periodo di grande transizione; da un lato il ricordo dei grandi che hanno imperversato per decenni con articoli raffinatissimi sui quotidiani come Franco Quadri o Alberto Arbasino, e dall’altro l’esigenza di essere sempre più vicini ad un pubblico e ad una comunicazione che è notevolmente cambiata nel corso degli anni. Qui a Scene Contemporanee cercheremo di dare qualche risposta a queste tematiche, e lo faremo dando priorità, come taglio editoriale, al teatro contemporaneo; l’Italia, infatti, è l’unico paese dove ancora esiste una distinzione ben definita tra il teatro così detto “di tradizione”, afferente al circuiti degli Stabili, e il sottobosco del teatro così definito “d’innovazione”, che in realtà comprende stili e modi di fare teatro completamente differenti, e che ha trovato sbocco in maniera più o meno valida in un circuito alternativo fatto principalmente da festival e da teatri “off”. In realtà in Europa una distinzione di questo tipo non esiste, poiché anche gli spettacoli incardinati nella dimensione del grande teatro (un esempio su tutti è lo Schaubuhne di Berlino) presentano nelle loro produzioni elementi di grande contemporaneità, vuoi per la volontà di credere maggiormente nei giovani (basti pensare che Ostermeier è diventato direttore del teatro berlinese all’età di 32 anni), vuoi perché all’estero c’è un maggior scambio di buone pratiche e di creazione di reti tra paesi stranieri, con il risultato di aver creato un gusto internazionale che permette alle produzioni di girare. L’Italia è ancora molto indietro su questo, molto spesso perché i teatri di un certo livello (quantomeno in termini di finanziamenti) sono espressioni di lobby e volontà politiche che non permettono la crescita che necessiterebbero; fatto sta che molti spettacoli di grandi artisti consacrati a livello europeo o non arrivano in Italia, o arrivano con grande ritardo (un esempio su tutti è Angelica Liddell, che è arrivata soltanto quest’estate in Friuli per la prima volta in Italia dopo anni di grandi successi all’estero, e solo su volontà di un festival, Omissis, che non si può certo dire sia una grande forza in termini di budget). Mancano le competenze e una visione a lungo termine, capace di proiettare le arti performative italiane, pur ricche di talenti, in una dimensione internazionale; Scene Contemporanee cercherà di evidenziarle, allo scopo di far crescere una nuova visione delle arti performative in Italia, capace di concorrere allo stesso livello dei paesi esteri, utilizzando un linguaggio semplice e cercando di arrivare al cuore del messaggio.