Drive In. Easy Rider: Harley Davidson
Se i finestrini delle auto sono il surrogato di un televisore, le moto sono allora il mezzo migliore per gustarsi la libertà: il cinema ci ha dato l’esempio perfetto con il road movie per eccellenza, Easy Rider.
Due amici, due “chopper” Harley, un malloppo di soldi ed una strada verso la West Coast, e la libertà. Questo in poche parole Easy Rider, film mito della controcultura del finire degli anni ’60, con Dennis Hopper e Peter Fonda, e Jack Nicholson nel ruolo dell’avvocato (ed ubriacone) Henson. Se il cinema ha sempre espresso il desiderio di libertà, i road movies lo incarnano perfettamente, e tra questi, di diritto, il capostipite è senza dubbio questo film del 1969, scritto dai due protagonisti, prodotto da Fonda e diretto da Hopper, che racconta di essersi ispirato nella scrittura del soggetto nientemeno che al Sorpasso di Dino Risi. Con un cast ed un budget striminzito, non ha faticato a far breccia nel cuore dei giovani di allora (e di oggi).
Di road movies prima c’era stato The Wild Angels (1967) con lo stesso Fonda, oppure Hell’s Angels On Wheels con Nicholson, ma la rottura che ha creato Easy Rider è radicale nella controcultura americana e non solo. La trama del film non è delle più complesse, anzi si basa su un progetto molto semplice: comprare una grossa partita di droga in Messico, rivenderla negli USA per molto di più e godersi i soldi e la libertà lontano. Meta dei nostri due eroi è il carnevale di New Orleans. I mezzi per arrivare sulla West Coast sono le due indimenticabili Harley Davidson, che restano nell’immaginario comune creando un vero fenomeno anche nello stile delle motociclette: da allora la gente modificherà le proprie due ruote come i due chopper Flame di Billy The Kid ma soprattutto il celeberrimo Capitan America. E pensare che in origine erano delle Harley Panhead (inutile dirlo, oggi diventate un must assoluto) della polizia, comprate per 500 dollari.
Estrema libertà nei dialoghi, quasi tutti improvvisati; estrema libertà nei costumi, rappresentati ma anche reali: nuovi stili di vita, i figli dei fiori, e nuovi modi di vivere, come l’amore libero; la marijuana veniva fumata liberamente in scena, venivano rappresentati trip da LSD, essendo inoltre la prima pellicola in cui i protagonisti, anche se sotto effetto di droghe, non commettono atti criminali. Talmente iconico che poco importa che Hopper fosse filo-repubblicano o che la droga sia stata utilizzata anche fuori scena dai protagonisti: Nicholson scoppia a ridere in una scena per questo motivo, Fonda in un cimitero evoca la madre morta quando lui era piccolo, per via di una dose di acido… Dati i tempi la cosa non dovrebbe sorprenderci. Dopotutto l’intenzione del film è di rappresentare una parte nuova del sogno americano, quella dello spirito libero: l’importante era partire, andare, sperimentare, viaggiare. In moto, naturalmente, il mezzo che è la “versione meccanica” di questi termini. Inutile negare che l’influenza di questo film sui motociclisti, soprattutto quelli degli anni ’70 è stata tanta. A titolo d’esempio si cita Robert M. Pirsig, nel suo libro Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (1974, uscito in Italia nel 1981), che racconta di un viaggio proprio in America, dice: “se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina […] non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. […] il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro una cornice. In moto la cornice non c’è più”. Chi ha scritto una frase del genere non può non aver visto Easy Rider, in cui il tradizionale viene fatto esplodere, in cui un viaggio è un insieme di esperienze, in cui il tempo non conta e simbolica resta la scena di Peter Fonda in cui butta via l’orologio, perché non bisogna avere limiti né tempi prestabiliti (Fonda poi citerà l’atto di buttare via l’orologio di questa scena in Wild Hogs, in Italia Svalvolati on the road (2007), road movie comico, in cui l’attore 70enne interpreta un vecchio motociclista a capo di una banda).
Il film incassò più di 40 milioni di dollari, è stato sempre definito una pietra miliare del cinema e di una generazione, aiutando nell’inizio la cosiddetta New Hollywood. Sublime la colonna sonora, con brani entrati anch’essi nella leggenda, e gruppi del calibro di The Jimi Hendrix Experience, The Band e soprattutto la band canadese degli Steppenwolf, che ci hanno regalato l’immensa Born to Be Wild, titolo che ben rappresenta l’essenza del film. Anche se è un film tecnicamente grezzo, come il caso di diverse inquadrature realizzate in 16 mm e poi riadattate, Easy Rider non sarà perfetto, ma poco importa: il film è la perla nera in un business avvezzo solo ai soldi, incarnando un nuovo sogno americano e una ribellione tipica degli anni ’60 – ‘70, nonché il vero capostipite dei road movies, in cui il sogno di libertà, oltre che raccontato con le parole, va fatto anche vivere su delle ruote in movimento, possibilmente due.