Cinema Il cine-occhio

Downtown Abbey

Stefano Valva

Nel contesto contemporaneo della post-serialità stanno raggiungendo un’estrema qualità quegli show che vengono denominati period drama, ossia delle serie televisive che attraverso le vicende nel microcosmo dei personaggi, descrivono una precisa era storica. Prodotti per esempio come Boardwalk Empire, Peaky Blinders, Vikings e altri sono stati molto apprezzati da critica e pubblico, fino ad arrivare ad una punta di diamante come Mad Men, che attraverso sette stagioni descrive con un’accurata e imponente sceneggiatura i frenetici processi culturali degli Anni ’60 americani, ed inoltre ha inaugurato una nuova generazione post-seriale.

La fortuna di tale genere sta tutta nella struttura intrinseca che impone la sceneggiatura di un prodotto costruito su più stagioni, che si allaccia perfettamente al voler utilizzare tale show come una macchina del tempo, ove trasportare lo spettatore per un periodo di visione medio-lungo.

Un sotto-genere dei period drama, è quello delle serie in costume – le quali sono ambientate in un tempo storico di solito lontano dalla contemporaneità – che stanno andando in voga spasmodicamente in primis nel panorama seriale britannico, e nello specifico con una serie che ormai è diventato un fenomeno televisivo, ossia Downton Abbey.

La serie raffigura la crisi e i profondi mutamenti dell’aristocrazia britannica di inizio novecento a cavallo della prima guerra mondiale, attraverso la storia della famiglia Crawley; e Downton Abbey è appunto la loro storica dimora nello Yorkshire.

La serie è durata ben sei stagioni tra il 2010 e il 2016, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Lo showrunner Julian Fellowes – il quale ha fatto un grande lavoro di scrittura, creando un prodotto esteticamente delizioso e dalla narrazione sfumata ed emotivamente coinvolgente – ha deciso di portare la famiglia Crawley sul grande schermo – insieme alla direzione di Micheal Engler –  volendo ridare vita alla serie televisiva al cinema. Un processo interessante e anche non comune, dato che spesso è inverso, e in Italia lo sappiamo bene attraverso prodotti in voga oggi come Gomorra e Suburra, che sono nati in sala.

Nel film di Downton Abbey è il 1927, e la famiglia è in fermento, dato che dovrà ospitare per un giorno il re e la regina d’Inghilterra. Un’occasione unica per riempire d’orgoglio il nome e la storia di Downton all’interno delle corti Inglesi. La missione di fare bella figura non sarà semplice, perché come già gli spettatori sanno Tom Branson – uno dei personaggi più interessanti per la sua tormentata scalata sociale – di puro sangue irlandese, non vede di buon occhio da sempre Buckingham Palace e probabilmente vorrà ostacolare la visita dei reali. Inoltre, logisticamente Downton non sembra pronta per tale visita, tutti i domestici e gli inservienti vengono messi alla prova e ritenuti quasi inadeguati a tale compito, e all’arrivo dei servi ufficiali dei reali, verranno anche ostacolati da un personale abituato a lavorare nelle più sfarzose sale.

Per la prima volta cambia il punto di vista che era caratteristico di tutta la serie, perché quelli che vedevamo come gli aristocratici, qui vengono considerati come borghesi alla merce dei veri aristocratici, ossia i reali della corona. La vicenda sia sul piano dei domestici, che su quello dei nobili crea per tutto il film un forte dislivello, facendo vedere Downton con altri occhi, ossia come una modesta tenuta di provincia di una contea del nord.

Cambia quindi il punto di vista, e di conseguenza il plot, come se fosse un episodio speciale dello show, ma non cambiano di certo le caratteristiche che hanno fatto le fortune della serie: una sceneggiatura si sfumata e delicata, ma anche fortemente ironica e divertente, una forte alchimia tra i personaggi che scatena gelosie, invidie, competizioni, infatuazioni ed amicizie, ed un sapiente utilizzo dei contesti storici e sociali all’interno del microcosmo della serie; perché la storia come nei più grandi period drama non stona e non soppianta mai la trama, anzi si accosta a lei, creando un prodotto armonico ed eterogeneo.

Quello che ha sempre colpito di Downton Abbey – al di là appunto di come si instaurano i fatti storici e sociali nello sviluppo della temporalità nel prodotto – è come entra nella storia dei singoli personaggi, i quali apparentemente e storicamente sono sempre sembrati lontani dall’occhio di altre persone, e che invece qui sono completamente spogliati delle loro formalità sociali, per mostrarne invece le emozioni, le paure, la convivenza con i dolori e le gioie, in sintesi una forte umanità, attraverso un processo che nel panorama seriale si sta scorgendo anche con una serie come The Crown di Netflix per esempio.

Questo è il costante fascino di opere del genere, perché gli aristocratici sono stati visti sempre lontani dalle dinamiche sociali ed umane del mondo, invece poi si scopre che sono in fondo persone come tutte le altre, che si seppur diversamente e in una condizione fortemente privilegiata, provano dei sentimenti e affrontano delle problematiche personali e non, e quindi sono simili mnemonicamente a chiunque. E lo si nota d’altronde, nel rapporto che i nobili di Downton costruiscono periodicamente con i loro domestici, poiché spesso la differenza di classe sociale nemmeno si nota, o si inter-scambia (una dinamica storicamente presente anche in alcune opere di Shakespeare per esempio), facendo assaporare al fruitore processi sociali che si saranno poi evoluti successivamente, a partire dall’inizio del secondo dopoguerra.

Un processo perciò cross-mediale, attuato ora con l’uscita del prodotto sul grande schermo, senza far mancare elementi cinematografici che vengono creati ad hoc per la visione su un medium ormai apparentato, ma pur sempre diverso dalla televisione: Aumentano le carrellate, aumenta la forza delle luci con la fotografia attraverso il repentino cambio del meteo caratteristico delle contee interne Inglesi, aumentano i campi lunghissimi per dare risalto al paesaggio e alla natura incontaminata, ed infine aumenta l’iconografia di scena che può ancor di più avvalorarsi, grazie alla visione in sala.

Un processo interessante ed innovativo, che accentua ancora di più ormai la completa inter-scambiabilità dei prodotti tra cinema e televisione (ultimamente si è visto anche con una serie come Deadwood, anche se l’omonimo film è stato più distribuito in tv che nelle sale), i quali attraverso metodi di visione ancora in parte diversi – e la diversità in tal caso è un pregio, perché nonostante tutto ciascun medium deve avere delle personali caratteristiche estetiche e strutturali – completano l’epopea di opere come Downton Abbey, la quale entra di prepotenza nella storia mediale odierna.

Downton Abbey – il film è un’artefatta storia sociale inglese ed europea a cavallo della fine degli Anni ’20. Il passare degli anni durante il period drama, diventa anche un passaggio di consegne tra le generazioni, dove mantenere pertanto la tradizione, i valori e gli affetti, che sono rintanati metaforicamente nell’affascinante dimora. Il tempo passa ma Downton resta, il che significa che la storia resta e va insegnata – e tra gli obiettivi di tali serie, anche fatta visionare con un certo realismo – ai posteri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


  • Diretto da: Michael Engler
  • Prodotto da: Julian Fellowes, Gareth Neame, Liz Trubridge
  • Scritto da: Julian Fellowes
  • Protagonisti: Hugh Bonneville, Jim Carter, Michelle Dockery, Elizabeth McGovern, Maggie Smith, Imelda Staunton, Penelope Wilton
  • Musiche di: John Lunn
  • Fotografia di: Ben Smithard
  • Montato da: Mark Day
  • Distribuito da: Universal Pictures (Italia), Focus Features (USA)
  • Casa di Produzione: Perfect World Pictures, Carnival Films
  • Data di uscita: 09/09/2019 (Leicester Square), 13/09/2019 (Regno Unito), 20/09/2019 (USA), 24/10/2019 (Italia)
  • Durata: 122 minuti
  • Paese: Regno Unito, Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 13-20 milioni di dollari

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