Doppio Gioco
Dal documentario al cinema di finzione, James Marsh esordisce nel genere con una spy story delicata, un dramma familiare tratto dal romanzo di Tom Bradby.
Il pubblico mondiale è stato mal abituato messo di fronte alle spy story d’azione prodotte sia da Stati Uniti che dal Regno Unito, da cui arriva la più famosa spia del mondo, James Bond. Con due esordi di diverso genere, l’isola al di là della manica ha prodotto negli ultimi due anni due vere e proprie gemme del genere, restituendo alle spie il loro sussurrare, il tono drammatico che gli spetta. Segue così alla forza espressiva di Tomas Alfredson e del suo La Talpa, il ritorno al film narrativo di James Marsh, Shadow Dancer, “tradotto” per attirare le masse con un falso Doppio Gioco.
Sceneggiato da Tom Bradby, anche autore del romanzo da cui è tratto, Shadow Dancer è un dramma degli equivoci a base familiare trascinante nella sua estenuante delicatezza che ci riporta ai primi anni Novanta, dopo un breve prologo esplicativo, ma non rumoroso, atto a portare alla mente un importante pezzo di puzzle per dare un senso alla Storia. Colette è, insieme ai suoi fratelli Gerry e Connor, un membro dell’IRA (Irish Republican Army), il cui ultimo tentativo di mettere a segno un atto terroristico nell’undeground londinese viene sventato da lei stessa, incapace di portarlo a termine. Catturata subito dopo dai servizi segreti inglesi, Colette viene spinta a far da spia all’interno della sua stessa famiglia da Mac, un agente sensibile e devoto tanto alla causa quanto al valore della vita d’una persona.
Lo sviluppo dell’opera non manca di stupire, di scoprire lati oscuri di una famiglia devastata da una rivoluzione lunga e dolorosa, ma sempre fedele all’ideale d’unità tra persone dello stesso sangue, e lo fa seminando indizi sonori e visivi con un tocco leggero. Il regista dirige con lenti movimenti Shadow Dancer, cammina e non corre, ma sfrutta tutto ciò che è in suo possesso per tenere la tensione sullo stesso piano per tutto il tempo, evitando che cali l’attenzione, schivando il rischio d’un battere del cuore troppo rapido: Marsh richiede attenzione, sfila dalla tasca il dettaglio, dà forza alla bravura di Andrea Riseborough (Colette), ai suoi occhi ed alle doti drammatiche di Clive Owen (Mac), senza mettere in secondo piano i fratelli Aidan Gillen (Gerry) e Domhnall Gleeson (Connor), velando, invece, d’un tessuto maligno e sfuggente le brevi apparizioni di Gillian Anderson (MI6) e David Wilmot (IRA).
Dal regista di Man on Wire e Project Nim, due documentari diversi, entrambi ottimi, c’era tanto da aspettarsi e il lancio nella finzione lo ha reso ancor più legato alla realtà, redigendo un capolavoro sentimentale e delicato, l’aggettivo migliore che gli si possa dedicare.
Dettagli
- Titolo originale: Shadow Dancer
- Regia: James Marsh
- Fotografia: Rob Hardy
- Musiche: Dickon Hinchliffe
- Cast: Andrea Riseborough, Clive Owen, Aidan Gillen, Domhnall Gleeson, Gillian Anderson, David Wilmot