Donne in movimento per un teatro presente
È stato un dispiacere immenso apprendere la notizia dell’esclusione di Carla Esperanza Tommasini al ruolo di direttrice artistica di Pergine Festival, che ha svolto per cinque anni in modo virtuoso. Fa ancora più male sapere che la motivazione sia l’accusa di un presunto carattere “elitario” della manifestazione che da quasi mezzo secolo si tiene a Pergine Valsugana (TN). Negli ultimi anni – quelli della direzione artistica di Carla Esperanza Tommasini – Pergine Festival si è distinto a livello europeo, entrando più volte a far parte di progetti Creative Europe su larga scala, che hanno permesso alla cittadina del Trentino di ospitare artisti internazionali. C’è quindi qualcosa di paradossale nell’affermare che la direzione artistica in questione sia stata “elitaria”, vista la sempre maggiore apertura verso la comunità che il festival ha saputo dimostrare. Proprio noi di Scene Contemporanee sottolineavamo il virtuosismo della manifestazione nell’ambito delle nomination al Premio Rete Critica 2019, con una motivazione che esprime l’esatto opposto di ciò che pensa il CdA di Pergine Spettacolo Aperto, e che qui riportiamo per intero: “[Segnaliamo Pergine Festival] Per aver saputo coniugare territorio e comunicazione nel visual design urbanistico, in funzione di una visione artistica che unisce ambito turistico e progettazione culturale, con il tema delle connessioni globali. Per aver coinvolto negli ultimi anni pubblici con disabilità proponendo le audiodescrizioni e i percorsi tattili per non vedenti, le traduzioni in LIS di alcuni appuntamenti, e aver proposto un trekking urbano accessibile con la presenza di un folto pubblico di persone sorde in occasione di una serata dedicata ad arte e disabilità. Grazie all’attenzione per gli aspetti comunicativi, Pergine Festival ha trasformato la città in uno spettacolo a cielo aperto, restituendo a tutta l’area geografica circostante una visibilità nazionale, con ricadute positive sul turismo locale e regionale“. E, ancora, lo scorso luglio intitolavamo così il nostro reportage sulla 47esima edizione: Pergine Festival: accessibilità e sperimentazione, un binomio possibile, a testimonianza del risultato incredibile raggiunto dal lavoro sul territorio di Carla Esperanza Tommasini. Parole, le nostre, nutrite di una profonda consapevolezza, che soltanto chi come noi ha più volte seguito il festival può avere (a differenza del CdA, che il festival forse non lo ha mai vissuto davvero).
Un CdA composto da soli uomini contro una direttrice artistica che ha svolto un ottimo lavoro. Sarà stato un caso questo “malessere”? Pensiamo fermamente di no. L’invidia verso l’ottimo lavoro delle donne è ancora un male da sradicare in Italia, purtroppo.
In questo 25 novembre, Giornata nazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a ricordarcelo è tutto un pullulare di eventi che promuovono la lotta alla violenza sulle donne (fisica e psicologica), anche in ambito lavorativo e teatrale.
Proprio in questi giorni in cui i riflettori sono accesi sui temi femminili si è parlato, forse più del solito, dei diritti delle donne (si pensi anche solo all’inutile polemica che ha riguardato Giorgia Meloni, a Bali con sua figlia). Per fortuna, a parte casi gravi come quello di Pergine Festival, il teatro non è stato esente dall’essere investito da un bel movimento. Silvia Gallerano ha debuttato (in scena con Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Serena Dibiase, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini e la voce di Greta Marzano) al Teatro Carcano di Milano con Svelarsi, uno spettacolo per sole donne o chi si sente tale incentrato sulla nudità e sul corpo femminile: «Il corpo – ha dichiarato la Gallerano – non mente e si fa parola. La cultura patriarcale che ancora ci circonda, insegna alle donne, sin da piccole, a limitare i propri desideri di potenza, ad accettare invasioni di campo da parte dell’altro sesso, a mettersi in disparte. Si parte da vissuti diversi che hanno una nota comune: di umiliazione, di mutilazione, di invisibilità. Messi insieme si mostrano per quel che sono: semplici soprusi». E ancora, da nord a sud della penisola, grazie alla Rete per la parità di genere nelle arti performative costituitasi un anno fa a Pordenone nell’ambito del festival La Scena delle donne diretto da Bruna Braidotti è riemerso l’importante dibattito sulla parità di genere. A un anno di distanza dal primo incontro, la Rete si è riunita proprio negli ultimi giorni in altre due occasioni: presso il Teatro Galleria Toledo a Napoli (18-20 novembre), con una tre giorni dal titolo Illumina: rete, teatro, donne, in occasione del festival La escritura de la/s diferencia/s, diretto da Alina Narciso, e poi a Genova il 21 novembre, per il festival Eccellenza al femminile, diretto da Consuelo Barilari. Incontri come questi servono anche a ricordarci quanto la strada da percorrere sia ancora lunga, e che il problema riguarda soprattutto la cultura patriarcale, ma quelli della Rete per la parità di genere nelle arti performative restano sforzi degni di nota dal momento che hanno già ottenuto qualche buon risultato. A titolo di esempio, l’emendamento alla Legge Delega sullo Spettacolo (Legge 15 luglio 2022, n. 106) che stabilisce di tenere conto dell’equilibrio di genere nella ripartizione dei contributi del Fondo Unico per lo Spettacolo, con l’intento di incentivare e stimolare, attraverso l’inserimento esplicito di misure attive, il rispetto della parità di genere in ambito teatrale. Ora si spera che quanto raggiunto non venga travolto dall’operato del nuovo Governo.
Nonostante il clima di incertezza e disillusione, fa molto piacere incontrare il progetto dell’attrice, autrice e direttrice artistica Chiara Tomarelli, compiuto al Teatro Tor Bella Monaca a Roma con MEMORALIA – Rassegna civile di teatro e musica, una prima edizione che vede in cartellone prevalentemente nomi di donne. La rassegna Memoralia è un progetto di arti performative, conferenze/incontri didattico culturali e laboratori di formazione teatrale offerti alla cittadinanza. Il progetto è pensato per il Quartiere Tor Bella Monaca, nel Municipio VI, per integrare la proposta aggregativa e culturale di un territorio a rischio nella mappa della città di Roma. «Fare Memoria non è semplicemente ricordare il passato – scrive Chiara Tomarelli – Fare Memoria è conoscere le storie del passato perché quelle storie diventino nostre. È provare empatia con quanto accaduto perché si possa arrivare, di conseguenza, a cambiare noi stessi. E a cambiare il presente», scrive Chiara Tomarelli. La rassegna, che prosegue fino al 29 novembre, ci permette di entrare in empatia con donne che sono state testimoni scomode di realtà difficili.
Così abbiamo riscoperto I monologhi dell’atomica di e con Elena Arvigo, tratto da Preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievich e Nagasaki di Kyoko Hayashi, in cui dubbi, paure, mostruosità legati al nucleare si riaffacciano prepotentemente attraverso le storie di donne sopravvissute alle tragedie, davanti a un presente in piena crisi energetica e con un conflitto in corso in cui la minaccia della bomba atomica torna ad aleggiare. La prima donna è la moglie di un vigile del fuoco intervenuto a spegnere le fiamme sul reattore nucleare; la seconda, Kyoko Hayashi, è una superstite della città di Nagasaki. Nel primo dei due racconti, la realizzazione di Elena Arvigo si pone al di sopra di un’asciutta mise en espace e colloca all’interno dello spazio scenico la figura umbratile, icastica e solitaria di un alter ego, incarnato da Monica Santoro, attrice russofona che, entrando in contatto visivo con la Arvigo, traduce in simultanea alcuni estratti dello spettacolo per farli risuonare nel nostro immaginario. E poi abbiamo visto Madonne di Beslan, tratto da scritti di Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata nel 2006 diventata uno dei simboli più alti del giornalismo libero e indipendente, donna messa a tacere per aver messo al centro la verità a qualsiasi costo, anche quello della propria vita. Accompagnato dalle musiche di Raffale Toninelli al contrabbasso, lo spettacolo adattato e interpretato da Chiara Tomarelli, affiancata in scena da Mia Benedetta, narra di un abominio compiuto nel 2004 da un comando di terroristi per ottenere la fine del secondo conflitto ceceno, ai danni di 1500 persone tra bambini, famiglie, docenti, in ostaggio all’interno di una scuola, in un giorno di festa per inaugurare il nuovo anno accademico. Madonne di Beslan comincia dolcemente, come una fiaba, quella del Pifferaio di Hamelin, per usare la metafora dei bambini rinchiusi nel ventre della montagna e mai più riabbracciati dalle famiglie, ma prosegue con parole cariche di immagini potenti, che scuotono lo spettatore, descritte dalla stessa Politkovskaja, la quale raccolse le testimonianze dei sopravvissuti e dei genitori straziati dall’orrore. Completamente inadeguate e per questo complici furono le autorità governative russe, in primis la figura del già presidente Vladimir Putin. I due spettacoli, della Arvigo e della Tomarelli, si sono rivelati entrambi esperienze toccanti, attraversate dall’intensità di corpi e voci. La rassegna Memoralia ha poi proposto mercoledì 23 novembre un altro spettacolo composto da un eccellente cast femminile (Lunetta Savino, Carlotta Natoli, Bianca Nappi, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli, Mia Benedetta), diretto da Francesca Comencini: Tante facce nella memoria. Le storie sono il frutto dell’ascolto di registrazioni, testimonianze dirette di donne partigiane e non che nel ’44 vissero l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Martedì 29 novembre la rassegna Memoralia a Roma si concluderà con il debutto di I disertori – Poesie e canzoni contro la guerra, da scritti di Brecht, De André, Rodari, Vian, De Gregori, Bellezza, Gaber, Ungaretti, Neruda, Prévert. Protagonisti Piji Siciliani e Simone Colombari. Così si legge nelle note di regia che accompagnano lo spettacolo: «La terribile attualità della guerra Russo-Ucraina riporta come impellente un pensiero e un desiderio di pace e trasforma in materia pulsante e ancora più concreta tutto ciò che è stato scritto, recitato e cantato contro lo strumento di offesa più crudele in assoluto».
[Immagine di copertina: “I monologhi dell’atomica” di e con Elena Arvigo. Foto di Azzurra Primavera]