Musica

Dolores O’Riordan – Un tributo

Carmen Navarra

La vita di Dolores O’Riordan, voce dei The Cranberries, si è spezzata dopo 46 anni, il giorno 15 gennaio 2018 in un albergo di Londra.
Ancora una volta la cronaca e il mistero invadono e minano il campo della musica. Forse meno di altri, anche Dolores entrerà nel novero degli “artisti maledetti” perché probabilmente, come loro, faceva uso di stupefacenti, era entrata in depressione e, incapace di ritrovare stabilità, si era perduta in un labirinto di sofferenza, forse uccisa da questo o da chissà quale altro mostro, forse diventando il mostro di se stessa. Quanto di vero ci sia in tutto questo, non lo sappiamo: il cicaleccio si mischia alle indagini che proseguono instancabilmente, ma le cause della morte – si scrive – sono ancora incerte. Quello che resta certo e indiscutibile è che Dolores O’Riordan, irlandese di nascita, ha scritto una pagina importante nel diario di almeno due generazioni di adolescenti, quelli degli anni ’90 e quelli dei primi 2000 (tra questi ultimi ci sono anch’io).

Apprendo la notizia in tarda serata, risucchiata, come buona parte delle volte, da una vita frenetica. Sui social, rumorosi e roboanti, leggo commenti di amiche ed amici sinceramente costernati. Così la mia mente rielabora velocemente molti ricordi, associando buona parte di essi alla voce acuta e penetrante della Riordan: figura ossuta, appariva spavalda e grintosa in tutti i videoclip che mi capitava di vedere sui canali della Pay TV (ve lo ricordate MTV Brand New? Ho appena saputo, scrivendone, che non esiste più). La chitarra elettrica piacevolmente assordante di Stars, che risuonava nel lussureggiante paesaggio irlandese, mi aveva spinto, all’età di 14 anni, a conoscere meglio quello che poi sarebbe diventato uno dei miei primi “gruppi preferiti”, The Cranberries. Nel nome un frutto – l’ossicocco –, nei testi racconti di vita, nel sound un rock orecchiabile e (volutamente?) acerbo. Nel percorso che tracciavo a ritroso, mi imbattevo sempre in dischi che diventavano a poco a poco manuale imprescindibile dei miei pomeriggi liceali: No Need To Argue (1993) è stato l’album che li ha consacrati e Zombie il pezzo che cantavamo ai falò sulla spiaggia e alle feste dei nostri diciott’anni. In realtà questa canzone conteneva un messaggio forte e lapidario, condannava la guerra nell’Irlanda del Nord che mieteva vittime innocenti (come il bambino di cui parla il testo) e – in senso più ampio – si faceva portavoce di una denuncia, quella contro gli “zombie” del titolo, intesi come coloro che preferiscono non vedere. Quest’album aveva perle che probabilmente negli anni abbiamo dimenticato: Daffodil Lament mi aveva personalmente colpito per il sound agrodolce e per il cantilenante “Look lovely today” che era un invito a guardare i narcisi ondeggiare (e ai tempi in cui si studiava la letteratura inglese tra i banchi di scuola, l’associazione con Wordsworth era inevitabile). Nel 1996 arrivò To the Faithful Departed, armonicamente rock (Hollywood) con punte di delicatezza che si incastravano bene (When You’re Gone), ma qui scoprii il mio pezzo del cuore dei Cranberries: Salvation, 2:33 di durezza sonora che ben si sposava con il tema, l’abuso di droga (“no, no, it’s not not what it seems”, cantava la Riordan, restando ambigua sulla soggettività del problema, ma esternando forse il bisogno di salvarsi da qualcosa che, confesserà poi, l’aveva riguardata direttamente). La libertà era un tema che tornava di frequente, era probabilmente legato alla necessità di gettare via, attraverso la musica, qualche indefinita zavorra: in quest’ottica si collocava Free to Decide, che, con un sound gioviale, preannunciava quelli che sarebbero diventati i capolavori pop della band, Animal Instinct, Just My Imagination (Bury the Hatchet, 1999) e infine Analyse (Wake Up and Smell The Coffee, 2001). Buona parte dello stile dei Cranberries si fondava su questa ambivalenza: l’uso di parole sferzanti che non schiacciavano la bellezza sonora della musica; c’era infine un retroscena politico mai invasivo. L’altro punto di forza dei Cranberries è che sono stati un gruppo generazionale, hanno funzionato per un decennio – quello che coincideva con gli anni della mia formazione musicale – perché il “dopo”, ovvero la svolta solista della Riordan, ha dato alla luce dischi discreti, ma non memorabili (Are you listening?, 2007; No Baggage, 2009).

Nonostante il discorso musicale di questa band si sia sfilacciato dopo soli 10 anni (e forse era giusto che restasse relegato a quel momento storico), il motivo per cui la scomparsa di Dolores O’Riordan mi ha tanto scossa e ho scelto di tributarle un ricordo da fan quale sono (stata), è dato dal racconto che dava di sé; era un animo che oscillava tra il coraggio e la fragilità, tra le cadute e le risalite, tra i sogni (Dreams, il pezzo che fece da apripista) e le promesse irrealizzate (Promises: il mio secondo pezzo del cuore).



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