Cinema

Django Unchained

Cristina Lucarelli

Quentin Tarantino cede al vizio e dopo tanti anni di omaggi a non finire, si libera dalle catene per scrivere e dirigere la sua personalissima epopea western a metà tra Corbucci, Leone e il blaxploitation.

Nessun tribunale della Santa Inquisizione potrebbe condannarmi se ora affermassi, con certezza assoluta, che Quentin Tarantino è annoverabile tra i più grandi scrittori di cinema, non viventi, attuali o qualsiasi altra categoria-contenitore vogliate, ma di sempre. Con Django Unchained ci troviamo di fronte un altro capolavoro di quel teppistello del Tennessee che, nonostante l’età sia ormai matura, ancora ci sa regalare momenti di puro spasso ineluttabilmente miscelati a sequenze di vivido terrore e profondo smarrimento. Perché Django riflette la sua stessa idea di settima arte: con coerenza e rispetto è di nuovo il cinema stesso a farla da padrone, con quel discorso metacinematografico che palesa tutto l’amore e la passione per ogni genere, anzi, per la commistione di generi, per la loro contaminazione, vera ars poetica tarantiniana.

Se lo spunto di partenza è ovviamente lo spaghetti-western, in particolare quello di Corbucci, con notevoli incursioni nella cosmologia leoniana, non manca quel continuum di citazionismo e feticci che trova un luminoso riverbero in ogni sequenza. Inutile star qui ad elencare gli omaggi di cui Django è permeato in ogni sua piccola particella, da Griffith alla blaxploitation, dal metateatro a tutto quel mondo autoreferenziale di cui è costellata l’estetica tarantiniana. Molto meglio dare spazio a ciò che raccontano le immagini, all’epopea di Django, schiavo liberato da un cacciatore di taglie e alla ricerca della moglie vigliaccamente sottratta al suo amore.

Grandiosamente interpretato, primeggia su tutti l’impagabile Christoph Waltz, in un ruolo che poteva essere solo il suo. Tarantino ha trovato nell’attore austriaco la corporeità del proprio linguaggio: è quasi come se si guardasse allo specchio dicendo lui quelle battute, regalando lui quelle sfumature interpretative e si compiacesse da matto nel farlo. Prova superata a pieni voti anche per il villain Leonardo Di Caprio e lo stesso protagonista Django/Jamie Foxx, che se non fossero stati affiancati da due mostri come Waltz e il cattivissimo Samuel L. Jackson, di sicuro sarebbero emersi in maniera diversa. Personaggi dalla personalità accuratamente tratteggiata dalla penna di Tarantino che anche stavolta, come in Bastardi senza gloria, si fa portavoce degli oppressi cui regala un sogno, un sogno realizzato con la sua solita, impeccabile, cifra stilistica. Dialoghi affascinanti, fotografia e scenografia ineccepibili, contribuiscono alla riuscita del lungometraggio più lineare – temporalmente parlando – di Tarantino, il quale ci delizia anche con un cameo, quasi un gioco di prestigio oserei definirlo. Una pellicola da godere, ove non manca quella comicità che riesce ad alleggerire spassosamente un sottotesto politico impegnativo. Tarantino si riconferma davvero l’amante ideale, passionale, sorprendente e – soprattutto – non tradisce mai.


Dettagli

  • Titolo originale: Django Unchained
  • Regia: Quentin Tarantino
  • Genere: Western
  • Fotografia: Robert Richardson
  • Musiche: AA. VV.
  • Cast: Christoph Waltz, Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington, Don Johnson, Franco Nero, Tom Savini, Zoë Bell, Quentin Tarantino, Walton Goggins
  • Sceneggiatura: Quentin Tarantino

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