Distillare storie dalle geografie per una mappa parlante: Carlo Infante racconta la seconda edizione di Paesaggi Umani a Roma
È in corso a Roma e fino al 13 dicembre la seconda edizione di Paesaggi Umani. Distillare storie dalle geografie per una mappa parlante, a cura di Urban Experience per Contemporaneamente Roma 2021 .
Tutto si svolge all’aperto, con i sistemi radio che garantiscono distanziamento fisico, sollecitando la prossimità sociale. Tutte le azioni sono a ingresso libero e gratuito, ma la prenotazione è fondamentale. Lasciamo però che siano le parole di Carlo Infante, Urban Experience, a spiegarci in che cosa consiste questo progetto.
Il progetto Paesaggi umani riesce a convogliare lo storytelling nell’esperienza diretta, da dove viene questa esigenza di toccare con mano ciò di cui si racconta? Risulta più efficace?
Tutto parte dal narrare, un po’ per caso. Diversi anni fa ho scoperto che “narrare” non ha a che fare con la letteratura, con la scrittura. Ha a che fare con l’azione, sta proprio nella sua etimologia greca, comporta il conoscere, agendo. Quello che sta facendo Urban Experience nasce da un processo di sottrazione, e rimediazione. Troviamo elementi tipici del teatro, dell’avanguardia mescolati ad elementi dell’audiovisivo. Il mio approccio al mondo è sempre stato influenzato dall’idea di avanguardia che riecheggia nella mia vita e proprio da questa tendenza nasce Urban Experience, un’iniziativa in grado di instaurare una relazione fra città, storia, tecnologia e persone. Potendo poi, osservare, toccare e vivere a tutti gli effetti ciò di cui si racconta la fruizione del contenuto risulta una vera e propria esperienza a 360 gradi. Paesaggi umani si pone un obiettivo: rilevare le storie iscritte nella geografia e dargli voce, rompendo le pareti dei media tradizionali
Da dove nasce l’idea di “walkabout” e in cosa consiste ?
Non è solo una parola strana, deriva dalle sottoculture aborigene ed è un rito di iniziazione, in cui un giovane per sancire il suo passaggio nel mondo adulto viene mandato nel deserto e deve essere in grado di ripercorre le vie degli antenati e ritrovare casa. Ma la cosa peculiare è che in Australia queste zone franche, desertiche fra una metropoli e l’altra vengono chiamate “outback,” ovvero ciò che è fuori e ciò che sta dietro, può essere un’ottima metafora per intendere l’ignoto, tutti abbiamo un nostro deserto interiore la cui presenza è costante e nota. E ciò riguarda in maniera diretta la città di Roma che molto spesso mi piace assimilare alla Calcutta d’Europa. Il nostro obiettivo era quello di rendere note quelle zone quasi dimenticate, con i walkabout abbiamo dimostrato come poteva essere interessante rilevare la spettacolarità dell’ignoto e dei personaggi che hanno fatto la storia di un certo luogo. A me piace definire i walkabout come “una radio che cammina”, quasi nomade, e proprio il nomadismo è un valore evocativo molto presente nella storia umana, che vuole essere ripreso anche qui. Il walkabout è una condizione abilitante, stimola lo spettatore che diventa un “attante” ovvero uno spettatore attivo assimilabile a quello degli happening
Il progetto è stato riconfermato per la sua seconda edizione. Cosa ricorda con più piacere dell’ultima edizione e cosa si aspetta da questa?
Nella scorsa edizione è stato messo a punto un nuovo format: quello dei quadri parlanti in cui degli attori impersonificano i personaggi che hanno fatto la storia dei luoghi visitati e ricordo con molto piacere il successo che ebbe questa iniziativa. La cosa interessante è che per realizzarli ci affidiamo a tecnologie di Morphing molto complesse, in grado di riprodurre anche le microespressioni del volto. La maggior parte dei ricordi sono comunque legati alle emozioni, il nostro progetto si compone di incontri, scontri e interazioni fra persone. Lo scorso anno casualmente, lungo l’acquedotto Felice abbiamo avuto la fortuna di incontrare una signora che abbiamo scoperto essere una delle insegnanti di lotta che con Don Sardelli negli anni ‘70 si è battuta per la causa occupando la chiesa del Policarpo: ci ha raccontato la storia, vissuta in prima persona, che io conservo e faccio ascoltare in tutti i walkabout. Quest’anno il protagonista quasi indiscusso sarà Papa Sisto V cui ricade il cinquecentenario della sua morte e mi aspetto di poter evocare il pensiero critico, partire dalla storia per capire il presente. Quella di Roma è una storia fatta di persone, viaggi e migrazione: proprio su questo lo spettatore è chiamato a riflettere.
Lei crede nelle potenzialità della sempre più presente interazione che esiste fra cultura, società, e i nuovi media interattivi?
Il progetto è a tutti gli effetti un precursore del podcast, che io apprezzo perché è in grado di liberarci, rispetto agli altri media che impongono una certa fruizione e un certo livello di attenzione su diversi sensi. Con il podcast basta mettere delle cuffie e si va, alla scoperta del mondo. Proprio a tal proposito mi sento di citare un po del mio background. Nel 2018 sono fra i fondatori di “Loquis” la prima app di travel-podcasting, in grado di farci ascoltare frammenti di storie semplicemente camminando in strada o viaggiando in auto. È un podcast geo-referenziato che racconta tracce di memoria di un singolo luogo e ad oggi sono più di 120.000 i racconti pubblicati e oltre 200.000 le persone che hanno utilizzato Loquis. Quindi la tecnologia è diventata una nostra fortissima alleata, quasi la carta vincente per poter elevare il nostro lavoro e renderlo accessibile ai molti, ma soprattutto grazie alle nuove tecnologie si può spingere verso un’immersività totale. Ma il focus principale, il perno del discorso, secondo me è la condizione di performing media una condizione che riguarda lo sviluppo antropologico delle tecnologie abilitanti, in cui i nuovi media interattivi determinano un rapporto uomo-macchina sempre più simbiotico, dando vita alle cosiddette cyber-performances.
Info/contatti: www.urbanexperience.it | info@urbanexperience.it | 3393669717 | WhatsApp 3358384927
[Immagine di copertina: Carlo Infante]