Musica Nuove Uscite

Dirty Projectors – Lamp Lit Prose

Carmen Navarra

Lamp Lit Prose degli statunitensi Dirty Projectors è un disco nel quale la luce, fonte di gioia e di speranza, gioca un ruolo essenziale. Ad un solo anno di distanza dall’uscita di Dirty Projectors, disco a tinte decisamente fosche, questo progetto musicale – che porta la firma di diverse collaborazioni – si presenta “festoso” sin dalla colorata copertina su cui sono rappresentate due ampolle che formano, unendosi, due estremi inestricabili (lo yin e lo yang).

David Longstreth, frontman, vocalist e chitarrista della band, detiene lasciti importanti (David Byrne, Björk) che anche in questo disco sono musicalmente percettibili. Il pezzo che ha anticipato il disco, Break-Thru, è un buon prodotto di easytronica (vedi l’uso del piano Wurlitzer) autenticato da inserti country (armonica a bocca). L’idea della luce, inoltre, riveste tutto il tessuto – per così dire – narratologico, dove c’è una lei che a mo’ di epifania sprizza elettricità, accendendo i giorni del suo amante. L’elemento della luce, come strumento atto a (ri)trovare la propria strada, caratterizza invece Right Now, pezzo di apertura dell’album, in cui oltre alle sfumature country dettate da un delicato fingerstyle, risulta vincente il contrasto tra la potenza vocalica di Longstreth e il timbro soft dell’artista statunitense Syd (from The Internet), prima delle diverse collaborazioni presenti in Lamp Lit Prose. L’altra – I Feel Energy, la più riuscita tra tutte – porta la firma di Amber Mark, voce soul con striature r&b. Altrettanto suggestive (eppure spurie) sono You’re The One, ballata pensata, cantata e suonata con Robin Pecknold dei Fleet Foxes e Rostam, ex membro dei Vampire Weekend e I Wanna Feel It All che ha una decadente carica jazz, complice la collaborazione con i Dear Nora. Infine Longstreth & Co. non rinunciano all’aspetto “politico” della musica che trova una chiave sonora in potenti riff di chitarra e svisate rock (That’s A Lifestyle, Zombie Conqueror, I Found It In U); qui è sottilmente ravvisabile l’attacco a quello che lo stesso Longstreth definisce fascismo suprematista bianco dell’era Trump (“il mondo mangia i suoi piccoli finché non sono spariti, vuole sangue”).

Un disco senz’altro pregno e forse necessario, ma non sempre composito e strutturato negli intenti lodevolissimi della band.



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