Dimitri/Canessa // Ad esempio questo cielo
«Cosa faresti nel tuo ultimo minuto di vita?». La potenza di questa domanda apre e chiude Ad esempio questo cielo andato in scena in forma di studio – in anteprima italiana dopo quella svizzera al Theaterwerkstatt Gleis 5 di Frauenfeld – presso il Teatro della Contraddizione di Milano da giovedì 4 aprile a domenica 7 aprile, per la regia di Elisa Canessa, che dal 2013 ha fondato la compagnia teatrale Dimitri/Canessa insieme a Federico Dimitri. Quest’ultimo, sul palco con Andrea Noce Noseda, dà corpo, voce e vita ai personaggi di Raymond Carver disseminati nelle sue poesie. Il ritmo, di per sé frenetico e coinvolgente, viene ulteriormente dinamizzato dall’impianto scenografico, il cui fulcro è una pedana rotante sulla quale o intorno alla quale i due protagonisti si muovono, alternando, estemporaneamente ed imprevedibilmente, toni grotteschi a toni drammatici. L’assenza di un intreccio narrativo “costringe” lo spettatore a catturare più che l’organicità di un pensiero, il suo significato complessivo. In questa logica la parola acquisisce una pregnanza di montaliana memoria, anche se gli oggetti di cui usufruiscono gli attori in scena non hanno sempre una valenza prestabilita: una pistola, una sigaretta, un abete, non rappresentano di per se stessi oggetti funzionali e funzionanti, ma impattano in modo brusco e casuale contro la quotidianità delle nostre esistenze, sfidandone l’attendibilità. Da questo groviglio dissociante e disarmonico emerge la bellezza della poesia, quegli squarci di luce che si insinuano tra le nuvole di un cielo spesso tristemente cupo. La performance di Dimitri e Noseda si allinea così alla scrittura di Carver, che si serviva di questi lampi per raccontare – frammentandole – le proprie esperienze, senza per questo rinunciare a una forte e compiaciuta dose di autoironia: «Se tu vuoi scrivere una poesia, devi essere confuso». L’emotivo e appassionato racconto di sé – la scomparsa del cane della propria figlia, un amore dilaniante, l’insanabile scontro con il proprio padre – si trasforma così da «poetico» a «patetico», un modo, forse l’unico che davvero abbiamo, per stemperare il dramma e regalarci un sorriso di amara consapevolezza. Nel mare magnum di questi accadimenti, si riaffaccia quell’interrogativo iniziale a cui tutti proviamo a dare risposta. Nessuna ci sembra sufficientemente valida, non foss’altro che, come recitano i personaggi in scena, «è meglio che non si sappia prima cosa accadrà in futuro».