Arti Performative Dialoghi

La felicità è una cosa semplice al Teatro Argot Studio. Intervista a F. Frangipane

Gertrude Cestiè

In occasione della presentazione della stagione 2016-2017 del Teatro Argot Studio che si apre con il debutto in data di pubblicazione di questo dialogo, del Misantropo ovvero liberi esperimenti dell’arte del vivere sociale di Molière per l’adattamento e la regia di Francesco Frangipane, abbiamo rivolto alcune domande alla Direzione, nella persona dello stesso Frangipane, sul senso di questa prossima stagione intitolata “La felicità è una cosa semplice”, e sullo spettacolo che ne dà apertura.

La felicità è una cosa semplice” riecheggia il famoso verso di Trilussa “Tutto sommato la felicità non è che una piccola cosa”. Qual è il senso che all’Argot Studio intendete dare alla stagione, ma anche al teatro in generale, con questo evocativo titolo?

Come abbiamo scritto anche nella presentazione, in un momento storico in cui le persone si sentono profondamente a disagio e temono per il loro futuro, vivendo ogni giorno nell’incertezza economica e nell’instabilità sociale, pensiamo che sia il compito di ogni artista lanciare un messaggio importante e positivo che faccia riflettere sull’importanza della grazia e della bellezza. Per questo motivo abbiamo coinvolto due importanti artiste – Cristina Gardumi e Gioia Salvatori – per raccontare con le immagini e le parole la nostra stagione e quanto è difficile oggi costruire la felicità… nonostante sia una cosa semplice! 

Dare spazio alle giovani realtà, perpetuando l’impegno con il Festival Dominio Pubblico_La città agli Under 25, e insieme occuparsi di formazione teatrale introducendo percorsi anche paralleli come il progetto CinemArgot, può contribuire secondo voi a fare del teatro sempre più una casa della felicità e della semplicità?

Sicuramente contribuisce a rendere questo spazio una casa. Un luogo in continuo fermento e movimento. Un laboratorio costante dove la creazione la visione e la formazione si miscelano per rendere questo uno spazio dove le vecchie e le nuove generazioni possano ritrovarsi e riconoscersi. L’Argot è da sempre questo e noi cerchiamo di portare avanti con entusiasmo e determinazione questa vocazione trentennale. 

E lo facciamo con un’attenta programmazione, con i nostri progetti che prendono vita proprio nello spazio, con il Festival “DP_la città agli under 25″ che ci ha, infatti, permesso in questi anni di intercettare, in quella generazione tra i 18 e i 25 anni, ancora degli spettatori puri, formando così decine di ragazzi che hanno scelto di abitare i nostri spazi. E poi tutta la parte formativa che quest’anno prende forme e direzioni diverse attraversando il cinema, la musica, la luce fino alla normale formazione di autorizzare, attorale e registica. La felicità siamo convinti, quindi, sia una naturale conseguenza. 

La stagione inizia con una produzione Argot, che messaggio si vuole dare, fra gli altri? Magari l’idea di una conferma di identità e presenza costante della Direzione nella vita di questo spazio teatrale…

Tornando un po’ al passato, l’Argot da quest’anno ha deciso di occupare una parte consistente della programmazione con produzioni proprie, rifacendo del teatro la sua casa. Ne sono un esempio il Misantropo, La Tempesta, Le città invisibili, Senza glutine e altro ancora. Questo perché, in un momento storico dove la circuitazione e la distribuzione sono meno centrali, la casa e il luogo di appartenenza diventano fondamentali.

È quindi un’Argot concepito come una factory dove sperimentare, provare e debuttare con i propri spettacoli come fosse un vero centro di produzione, senza però dimenticare l’altra vocazione dell’Argot, ovvero quella di luogo attraversato da altre anime artistiche che usano a loro volta questo spazio per sperimentare e proporre il proprio lavoro.

Particolare la scelta di iniziare con il Misantropo di Molière, ma essenziale mi sembra il sottotitolo scelto per questo riadattamento: “liberi esperimenti dell’arte del vivere sociale”. Finzione e realtà a teatro si compenetrano: personalmente ed artisticamente, come vivi il rapporto tra la rappresentazione teatrale e le sue implicazioni reali nella società?

Da sempre nel mio lavoro cerco di far coincidere la finzione scenica con la realtà. È un mio credo assoluto che mi ha portato a rompere ogni convenzione teatrale, sia spaziale che recitativa. E ad aiutarmi è stato proprio un spazio come l’Argot dove c’è la possibilità di far diventare lo spettatore, spettatore vivo, di metterlo dentro la scena e renderlo testimone del fatto scenico. In un posto, l’Argot, appunto, dove si assiste al cinema vivo. In quest’ottica, il Misantropo mi sembrava un’occasione perfetta per raccontare con straordinaria attualità i vizi della società contemporanea svelando l’impietosa superficialità di una vita costruita sull’apparenza.



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