Dialoghi. Intervista a Paolo Nori
Il presente – e non solo – secondo Paolo Nori
Dopo l’immersione nell’attualità fluida di Presente, cronaca a più voci di un 2011 variamente scritto e vissuto, Scene Contemporanee intervista uno dei quattro scrittori che hanno preso parte al progetto: Paolo Nori. All’autore di Le cose non sono le cose, I quattro cani di Pavlov e del recente La meravigliosa utilità del filo a piombo, edito da Marcos y Marcos, abbiamo chiesto del suo rapporto con il presente, come libro e come categoria temporale, tuffandoci nuovamente in un tempo altro e incantevole: quello della scrittura.
Lei tiene un diario, un blog, su internet. Presente è il progetto di un diario collettivo cui lei ha preso parte. Qual è il suo rapporto con queste due esperienze?
Non ho mai pensato al blog come a un diario, le cose che ci finiscono dentro raramente sono autobiografiche e non c’è quasi nessun tentativo di organizzare un discorso, di trovare delle relazioni tra una cosa e l’altra; le cose vanno su un po’ alla rinfusa, come banane nella stiva di una bananiera, credo.
Presente è un libro in cui si guarda all’attualità come un ospite costante della vita quotidiana. Ed è la percezione di questa presenza a fare la differenza. Qual è il sentimento che prevale nella sua percezione del presente?
In generale, mi viene in mente quella cosa che scriveva Chlebnikov, che, nel 900, il diario non basta più, ci vuole il minutario.
Quale pensa sia il dramma più grande, l’aspetto più tragico della realtà in cui viviamo?
Non credo ci sia una realtà, in cui viviamo, io ne vedo, ne sento, e ne immagino tante. Una delle cose che mi fanno star peggio, quando ci penso, e ci penso poco, e meno di quello che dovrei, probabilmente, sono questi posti che si sono chiamati Centri di permanenza temporanea.
Ed esiste, secondo lei, una direzione da intraprendere perché le cose cambino?
Secondo me, se ci mettessimo tutti a andare nella stessa direzione, il modo diventerebbe bruttissimo, ho l’impressione.
Spesso si lega al Tempo il concetto di speranza. Speranza di crescere, di cambiare, di trovare qualcosa. Il grande Monicelli, seppur in un contesto particolare, ha parlato della speranza come “di una trappola inventata dai padroni”. Sente di poter condividere questo suo pensiero, ora come ora?
Io lavoro, piuttosto, con la disperazione (con la mia) e, in questo senso, mi sembra di capire quello che dice Monicelli.
Sempre parlando di Tempo, si potrebbe citare Anton Čechov quando diceva “Là dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non siamo più ed esso ci appare bellissimo” . Ecco, a me piace molto Čechov e in particolare questo suo modo di dire le cose. E lei, che ha tradotto parole sue come di altri giganti della letteratura russa, cosa ne pensa?
A me, ultimamente, viene spesso in mente questo pezzo:
L’estate scorsa ho sentito una conferenza del poeta Robert Pinsky in cui si scusava per avere avuto un’esistenza molto più felice del normale. Almeno io ho avuto l’opportunità di ringraziare la mia città natale, nel maggio scorso, come oratore alla cerimonia di consegna delle lauree alla Butler University. Ho detto: “Se dovessi rifare tutto daccapo, sceglierei di tornare a nascere in un ospedale a Indianapolis. Sceglierei di trascorrere nuovamente la mia infanzia al 4365 di North Illinois Street, a circa dieci isolati da qui, e ancora una volta sceglierei di essere un prodotto delle sue scuole pubbliche. “Tornerei a iscrivermi ai corsi di batteriologia e analisi qualitativa nella scuola estiva della Butler University. “Era tutto a mia disposizione, così come lo è adesso per voi, il meglio e il peggio della civiltà occidentale: musica, finanza, stato, architettura, legge e scultura e pittura e medicina e atletica e ogni tipo di scienza, e libri, libri, libri, e insegnanti ed esempi. “Gente intelligente come non lo credereste, e gente idiota come non lo immaginereste. Gente buona come non lo immaginereste, e gente carogna come non credereste.
E diedi anche consigli. Dissi: “Mio zio Alex Vonnegut, un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante. Disse che quando le cose vanno davvero bene dovremmo fare in modo di accorgecene. “Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all’ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e fregarsene se si pesca qualcosa o no, ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell’appartamento accanto al nostro. “Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: ‘Se non è bello questo, cosa mai lo è?’”
[Kurt Vonnegut, Cronosisma, traduzione di Sergio Claudio Perroni, Milano, Bompiani 2000, pp. 22-23]
Un ultimo tempo di cui parlare: i suoi progetti per il futuro?
Continuare a far queste cose.