Cinema

Dialoghi: Intervista a Johnnie To e Wai Ka-Fai

Fausto Vernazzani

Intervista al regista Johnnie To e allo sceneggiatore Wai Ka-Fai in occasione dell’anteprima mondiale di Drug War al Festival Internazionale del Film di Roma

Non finiremo mai di ripetere che uno dei grandi successi di Marco Müller è stato proprio quello di ottenere l’anteprima mondiale di Drug War (qui la nostra recensione), il ritorno al thriller di Johnnie To e del suo sceneggiatore Wai Ka-Fai. E’ la storia di un poliziotto che scopre una miniera d’oro in un fabbricante di droga, il quale, spaventato dalla possibilità d’essere condannato a morte, decide di rivelare tutto ciò che sa alla polizia, aiutandoli nell’impresa di catturare i boss della mafia cinese.  Implacabile come il poliziotto protagonista (Sun Honglei), Drug War si è conquistato il favore del pubblico intero, permettendo a molti di gridare al capolavoro, un’etichetta che siam decisi a dare all’ultimo film di To, probabilmente giunto al punto più alto della sua carriera. L’occasione fa l’uomo intervistatore, ed è così che Scene Contemporanee sì infilato in un lounge bar di lusso dove abbiamo potuto scambiare due parole (insieme ai colleghi di Linkinmovies.it) con Johnnie To e Wai Ka-Fai.

Anni fa in un’intervista a CineEast diceste che amate scrivere e dirigere film che seguano tempi e mode. Questo ritorno al thriller con Drug War ha un motivo particolare?

Wai Ka-Fai: In verità fare film polizieschi è sempre un piacere per noi, dunque non è detto che ci sia sempre un motivo.

Johnnie To: E’ vero che ci siamo fermati per un paio di anni, abbiamo girato commedie, commedie sentimentali ed altri generi, ma in realtà questo film [Drug War n.d.r.] erano già tre quattro anni che lo avevamo pianificato e volevamo farlo. Il problema è stato che anni fa siamo andati in un posto in Cina che si chiama Chongqing (?) e volevamo girare un film sull’enorme progetto contro la mafia lanciato dal Governo. Volevamo raccontare questa storia, però purtroppo ci siamo resi conto che non ci davano il permesso, perché troppo recente e troppo vera. Alla fine il produttore ci ha aiutato a fare un po’ di ricerca e abbiamo visto che nel mercato cinematografico cinese ci sono pochissimi film polizieschi; tutti i registi vanno in Cina per realizzare film in costume, storici o di kung fu e non fanno quasi mai film moderni, thriller con poliziotti protagonisti soprattutto perché devono fare i conti con i censori, quindi devono cambiare tante cose e tante altre non si possono far vedere. Per noi era una sfida abbastanza grande cercare di fare un film poliziesco che parla di droga in Cina e passare i censori! Siamo stati molto fortunati a farcela! In Cina se fai un film sui tempi antichi non hai problemi con la censura perché stai parlando di persone già morte da secoli, mentre storie così moderne o addirittura contemporanee sono molto stretti.

A proposito dell’aver girato in Cina, mi sembra di capire che prima ancora di essere una necessità produttiva è stata proprio una volontà vostra di girare un film in Cina e volevo sapere, anche in base a quanto i media cinesi hanno insistito sul fatto che questo è il primo film poliziesco di genere con quelle tematiche che è stato girato nella Cina continentale, se si è reso conto che probabilmente avete aperto una strada nuova, di aver realizzato un film che farà la storia del cinema cinese.

JT: Prima di girare non abbiamo pensato che questo film potesse aprire un’altra strada per il cinema cinese però lo abbiamo sperato, ovviamente, prima di andare lì. Abbiamo discusso un pochino e volevamo essere diversi, non avevo intenzione di girare lo stesso tipo di film che c’è oggi in Cina. Naturalmente è stato complicato, abbiamo incontrato tantissimi problemi, soprattutto con la sceneggiatura: se chiedevamo cosa si poteva fare o no, la persona A diceva “No!”, la persona B diceva “Sì!” e la persona C diceva “Non lo so!”. Con tre diverse risposte come vai avanti? Per fortuna abbiamo avuto un produttore veramente bravo e lui ci ha detto: “Girate pure, fate il film. Poi dopo pensiamo ai problemi e agli ostacoli della censura!”. Abbiamo potuto dunque girare il film senza preoccuparci troppo per queste cose. Se i film polizieschi cambiassero in Cina dopo Drug War saremo ovviamente molto, molto felici. Sarà un guadagno in più, nonostante le difficoltà avute in Cina.

WKF: In tutti i paesi del mondo c’è già un’immagine ben precisa del poliziotto, cioè, conosciamo già l’immagine del poliziotto italiano, americano, inglese. Però in Cina c’è uno spazio vuoto, non abbiamo l’immagine di com’è il poliziotto cinese. Quindi anche se girare questo film è stato molto difficile, paragonato al lavoro ad Hong Kong, eravamo sempre felici perché ad un certo punto ci siamo resi conto che stavamo creando l’immagine del poliziotto cinese, e questo è stato molto stimolante per noi.

JT: C’è un detto ad Hong Kong, che i poliziotti hongkonghesi sono un po’ misteriosi perché si nascondono, non si sa cosa stanno facendo davvero, un po’ come le SS della Germania nazista. Noi abbiamo sempre questa voglia di scoprire un po’ i poliziotti, ma solo perché così il pubblico può avere più rispetto per loro [per contraddire il/i detto/i n.d.r.]

Ed è per questo allora che ha scelto uno dei più grandi attori della Cina continentale, Sun Honglei per affiancarlo al grande Louis Koo? Sarà lui l’immagine del poliziotto cinese, lui che aveva fatto da poco un film, Lethal Hostage, in cui di fatto interpreta un trafficante di droga? Diciamo che aveva un volto totalmente diverso dal tipico poliziotto che insegue il cattivo fino alla fine.

JT: A dirla tutta prima di girare il film con lui non sapevamo che aveva fatto un film in cui era il trafficante di droga. Non sapevamo nulla, ma con lui ho già lavorato per Triangle. All’epoca vidi che lui aveva un modo molto naturale di recitar, ma allo stesso tempo anche un lato duro che mi piacque molto e lui ci chiedeva spesso se avevamo nuovi progetti per coinvolgerlo. Purtroppo non abbiamo avuto niente di più per tanto tempo, fino al momento in cui abbiamo pensato a questo progetto collegandolo subito alla sua figura ed infatti solo dopo la conferma della sua presenza che Wai Ka-Fai ha iniziato a scrivere la sceneggiatura. Un po’ possiamo anche dire che è vero che abbiamo scelto lui di proposito e l’altra cosa che vorrei aggiungere è che abbiamo realizzato una cosa molto precisa: tutti i poliziotti nel film sono della Cina continentale e, invece, i cattivi sono di Hong Kong. Questo è proprio il contrario di come i vecchi film hongkonghesi e polizieschi vengono girati, dove i buoni sono hongkonghesi e tutti i criminali vengono dalla Cina.

I suoi primi film erano più intimi con ambientazioni underground. Ultimamente invece con Life without principle e Drug War si toccano temi più ampi e vicini alla società intera. Volevo sapere se questa evoluzione era voluta.

WKF: Noi crediamo che sia sempre bello cambiare, andare avanti e indietro su certi temi, quindi direi che questa evoluzione non è veramente un evoluzione perché scriviamo un film che parla della società e poi decidiamo di fare una cosa leggera, tipo una commedia romantica e quindi non è una cosa voluta. E’ semplicemente un piacere per noi provare diverse cose, diversi generi.

JT: Quel che entra in gioco è il tempismo e a volte le cose ti succedono quando non hai controllo su niente. Per esempio io dico spesso che non so cosa voglio fare però il Dio, il cielo, lo sa. E mi manda qualcosa, un segnale. Un po’ come dire, quando una mela è pronta cade dall’albero, per esempio con Life without principle è successo il crollo dell’economia, le borse sono cadute e in quel momento mi sono commosso e ho voluto fare quel film. Quindi è solo perché quello è successo e quel film è venuto fuori. L’evoluzione non è una scelta, ma più una cosa che accade, una reazione alle cose che mi succedono.

Le cronache degli informati ci dicono che per Febbraio/Marzo dovrebbe esser pronto il nuovo film Blind Detective con Andy Lau. Ben lungi da chiedervi anticipazioni, volevamo sapere se era possibile farci sapere se l’assonanza di titolo con Mad Detective del 1991 è un richiamo, se c’è una qualche unione ideale tra i due film.

WKF: Un po’ possiamo dire che sì, c’è un collegamento. L’idea del poliziotto cieco è nato dall’idea di un poliziotto con un problema, quasi come in Mad Detective. Anche in questo caso il poliziotto indaga sui crimini in un modo un po’ diverso e un po’ curioso, ma sempre molto umano. Con Mad Detective si toccavano corde ovviamente molto tristi, mentre questa volta ci siamo chiesti: come possiamo farlo in un modo un pochino più comico? Ed ecco nata questa commedia.

JT: Tutti e due i film, Mad Detective e Blind Detective, sono stati generati dall’idea di come possiamo avere un poliziotto che indaga con un approccio completamente diverso. Per questo motivo sono “menomati”, volevamo dimostrare come un poliziotto può indovinare le cose e quindi risolvere il crimine non con i fatti, non con le prove, ma usando il cervello e pensare a come il tutto può essere avvenuto. Anche qui volevamo cercare di creare un altro tipo di poliziotto che usa il cervello, la testa, invece di essere dipendente dalle prove trovate sulla scena del crimine. Non il solito detective sempre con la pistola in mano, ma uno che ragiona e poi sì, magari la prossima volta sarà in sedia a rotelle o un sordomuto!



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