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Dentro Caravaggio @ Palazzo Reale, Milano (MI)

Maria Ponticelli

Perchè le tele di un pittore vissuto tra il sedicesimo e il diciasettesimo secolo smuovono masse di visitatori e continuano a riempire le sale dei musei dopo più di quattrocento anni, ma soprattutto, perchè le stesse opere sono oggetto di numerose mostre, visitate ogni volta da migliaia di persone come se si trattase di inediti o di tesori dell’arte smarriti e poi ritrovati? La risposta probabilmente non è difficile da trovare se si pensa alla parola “incanto”e se assumiamo che per tale si intenda la forza di seduzione che un oggetto, o persona, sia capace di esercitare su altri soggetti. +

In questi termini è probabilmente possibile spiegare perchè la mostra delle opere del pittore Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come il Caravaggio, allestita presso il Palazzo reale di Milano, abbia richiamato in sei mesi (settembre 2017- febbraio 2018) migliaia di visitatori, tanto da non riuscire ad accogliere tutti prima della sua chiusura e tanto da rendere necessaria una proroga, con ingressi al museo fino alla mezzanotte. È d’altra parte vero che quando si dice Italia si pensa alla storia dell’arte e quando si pensa alla storia dell’arte non si può fare a meno di citare Caravaggio. A questa equazione è quindi sicuramente possibile riferire il successo della mostra Dentro Caravaggio, ma c’è dell’altro. É noto che la passione porta ad approfondire aspetti non noti o non del tutto evidenti che stanno dietro l’oggetto stesso del proprio interesse: le origini di una storia, l’etimologia della parola, il backstage di una pellicola. Andare a fondo, indagare, scoprire e quindi capire quel che in altro modo si è esperito o che comunque si suppone di conoscere. La grande mostra su Caravaggio, che ha radunato ben ventisei opere del pittore bergamasco provenienti dai musei di tutto il mondo, è infatti nata intorno all’idea di offrire un’ inedita proposta di approfondimento diagnostico delle tele in esposizione. Per la prima volta infatti si è resa possibile una doppia lettura dell’opera esposta, la prima personale e soggettiva derivante da un’osservazione diretta del dipinto , (benchè facilitata da una guida), ed un’altra di approfondimento, mediata da supporti multimediali tramite cui è stato possibile venire a conoscenza delle ricerche realizzate mediante esami diagnostici condotti sulle tele del pittore. Quali sono le fasi che hanno portato il pittore verso la realizzazione dell’opera, qual è stata la sua idea iniziale e quale quella finale? La mostra di Palazzo Reale ha tentato di rispondere a queste domande offrendo una prospettiva di indagine e di conoscimento di uno degli autori più rappresentativi della storia dell’arte italiana.

L’esposizione accoglie il visitatore con le opere appartenenti ai primi anni della produzione artistica di Caravaggio ma anche con una sorpresa che il visitatore dell’ultim’ora non si aspetta: la prima delle opere in esposizione Giuditta e Oloferne manca all’appello, già restituita al Museo Nazionale di arte antica di Roma o probabilmente in viaggio per un altro prestito, così come manca l’ultima opera presa in esame dalla mostra, Il martirio di Sant’Orsola, di cui è presente solo una riproduzione su un pannello. Tra la prima e l’ultima opera, che la mostra lascia un pò all’immaginazione del visitatore, ve ne sono ben ventiquattro che scandiscono, attraverso i periodi in cui sono state realizzate, tutto il percorso pittorico e biografico di Caravaggio, lasciando intendere come l’uno abbia influenzato l’altro e viceversa. La prima opera che è possibile prendere in esame è quindi Riposo durante la fuga in Egitto e, mediante l’approfondimento posto a tergo, è possibile scoprire come un esame diagnostico abbia portato alla luce il fatto che l’angelo raffigurato nel quadro fosse stato inizialmente disegnato altrove, circostanza che smentisce anche la leggenda secondo cui Caravaggio non fosse solito disegnare prima della realizzazione delle sue tele. Il percorso prosegue con l’analisi dell’opera La buona ventura che, così come ne La Maddalena Penitente rivela un bozzetto diverso da quella che è poi stata la realizzazione finale dell’opera. Leggendo i risultati delle analisi condotte è possibile venire a conoscenza del fatto che sotto la mano della zingara, soggetto del quadro in esame, è stata ritrovata l’aureola di una Vergine in preghiera con bambino, molto probabilmente realizzata tramite l’uso di un compasso, strumento per il quale, (come si evince dai documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Roma e di Siena, di cui la mostra è stata arricchita) Caravaggio deve aver subito anche l’arresto per possesso di armi.

Numerose altre sono le opere dei primi anni dell’artista, tra cui Ragazzo morso da un ramarro, che vorrebbe il Caravaggio stesso come modello dell’opera e il primo dipinto realizzato sulla figura del Santo di Assisi: San Francesco in estasi, che rappresenta la prima testimonianza della tecnica del “profilo a risparmio” realizzata attraverso la cosiddetta preparazione di colore Bruno, ovvero spazi privi dipittura tra una campitura e l’altra di colore e che servivano ad evitare l’attesa dei tempi di asciugatura. Si suppone che tale tecnica, presente solo da un certo periodo in poi del percorso artistico di Caravaggio, fosse stata sviluppata per accelerare i tempi di consegna dell’opera o, molto più probabilmente, per assecondare i brevi tempi di permanenza tra un posto e l’altro dovuti alle turbolenti vicende umane dell’artista.

Questa sorta di escamotage ha paradossalmente segnato la linea di confine nella carriera dell’artista, rendendolo famoso in tutto il mondo proprio per il rapporto luce/ombra presente nelle sue opere e determinato dal contrato tra chiari e scuri portato man mano all’estremo, come è possibile notare nella meravigliosa tela di San Giovanni Battista conservata a Kansas City in cui la figura del Santo è messa totalmente in luce e pertanto al centro dell’opera, o come nell’ ultimo dipinto  dell’artista Il martirio di Sant’Orsola in cui le figure che compaiono sul fondo sono persino erose dall’ombra che non permette loro di rivelarsi completamente. Questo ed altri aspetti della realizzazione delle opere, come le incisioni nascoste sotto la pittura e che dovevano permettere al pittore di orientare la lavorazione del dipinto,o come i bozzetti che rivelano ripensamenti rispetto alla disposizione delle figure sulla tela, sono rivelazioni degli studi di analisi condotti sulle opere di Caravaggio e su cui questa mostra punta il proprio contributo innovativo. Numerosi altri spunti di riflessione vengono offerti dai documenti della vita del pittore, in particolare dagli atti dei tribunali presso cui pare che egli non disdegnasse di farsi trascinare, contratti di affitto firmati in varie città, ed inventari delle sue proprietà; particolari utili a leggere in maniera più chiara il percorso di realizzazione di molte delle sue opere. È il Martirio di Sant’Orsola, (che ancora una volta citiamo) a chiudere la mostra con un velo di malinconia: è l’ultimo dipinto del pittore, dove l’ombra prende il sopravvento rispetto alla luce e, nella sua totalità, rappresenta l’emblema della sciagurata vita di un uomo dal grande talento e dalla profonda inquietudine interiore, è la sintesi di un’esistenza che finirá tragicamente un giorno di luglio dell’anno 1610 su una spiaggia di porto Sant’Ercole. La figura che si scorge sul fondo e che tenta di immobilizzare la Santa martire, immagine del bene, è ancora una volta rappresentata dal volto di Caravaggio che, senza esserne probabilmente consapevole, ricorda se stesso nella sua ultima creatura dove si concentra tutta la sapienza della sua arte e della sua tragedia umana.

La mostra è accompagnata da numerose citazioni di studiosi che negli anni hanno approfondito la figura del pittore della luce, tra le tante ce n’è una di Giovan Pietro Bellori, uno scrittore e storico dell’arte italiano vissuto tra il 1610 e il 1696 e che sintetizza in tal modo la poesia di Michelangelo Merisi:

“Non faceva mai uscire all’aperto del sole alcuna delle sue figure, ma trovò una maniera di campirle entro l’aria bruna d’una camera rinchiusa, pigliando un lume alto che scendeva a piombo sopra la parte principale del corpo, e lasciandoil rimanente in ombra a fine di recar forza con veemenza di chiaro e di oscuro”

 La mostra, a cura di Rossella Vodret, è stata promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, in collaborazione con il MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e si è avvalsa del contributo di un prestigioso comitato scientifico presieduto da Keith Christiansen e della collaborazione del Gruppo Bracco come partner dell’esposizione per le nuove indagini diagnostiche



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