Del bene e del male: “Il maestro e Margherita” del Teatro de Gli Incamminati
Portare in scena i capolavori incontrastati della letteratura mondiale è, ai giorni nostri, un atto estremamente coraggioso. Interrogarsi ancora una volta sul significato del Bene e del Male e su come queste due componenti cozzino e coesistano nell’animo umano è, per meglio dire, un atto rivoluzionario. Il legame indissolubile tra letteratura e dramma teatrale trova un esempio magistrale nello spettacolo Il maestro e Margherita, tratto dall’omonimo romanzo di Michail Bulgakov, diretto da Paolo Bignamini e prodotto da Teatro de Gli Incamminati e deSidera Teatro Festival e in scena fino al 20 gennaio presso il Pacta Salone dei Teatri di Milano. La scelta parte dal desiderio (desidera letteralmente significa “trarre buoni auspici dalle stelle”) di ristabilire un punto di congiunzione con ciò che oggi si definisce “classico”, ritrovando tanto nella letteratura quanto nel teatro il punto di partenza per incamminarsi (da qui gli incamminati) verso una forma artistica contemporanea e innovativa.
I personaggi sulla scena sono quattro e rispettano, con fedeltà, le quattro componenti principali del romanzo: Voland o Satana (Mario Cei), Ponzio Pilato (Luciano Mastellari), il Maestro (Matteo Bonanni) e Margherita (Federica D’Angelo). Il ritmo – cadenzato nel primo atto, vorticoso nel secondo – separa nettamente la prima parte dalla seconda e concorre alla creazione di un dramma dapprima cupo e controverso, in seguito quasi del tutto distensivo, fatta eccezione per l’inatteso finale; a questa “bipartizione” contribuiscono le musiche molto diverse, anche se ugualmente suggestive: Goodbye di Apparat domina rispettivamente i monologhi di Satana e di Ponzio Pilato nella prima parte; viceversa, un simpatico Alberto Fortis (Milano e Vincenzo) e un valzer delicato e suadente fanno da corollario alla seconda parte, che coincide con l’inizio della storia d’amore tra il Maestro e Margherita (entrambi i giovani attori appaiono convincenti durante il corso dell’intera performance).
Il dramma vero e proprio – che si consuma nella seconda parte dello spettacolo – viene anticipato da un lungo “prologo” i cui protagonisti sono Voland e Ponzio Pilato, personaggi indirettamente legati al Maestro e a Margherita. Il monologo del primo, di cui sarà spettatrice Margherita che, per l’occasione indossa una maschera felina ed inquietante, ha un tono beffardo, volutamente provocatorio (anche nel romanzo il diavolo si avvaleva spesso di collaboratori zoomorfi). Questo Voland si rivolge con sdegno finanche al pubblico («gli esseri umani non vedono l’ora di trasformarsi in pubblico»), accusandolo di impotenza e sovrana indifferenza. Il suo aspro “proclama” si conclude con parole altere che rivendicano la sua latente e subdola presenza: “Io sono lì, nell’ossessione, nel pensiero fisso, nei puntini di sospensione dopo i ‘se’ (…). Compatisco, illumino, comprendo, perdono”. Umano, troppo umano è, invece, Ponzio Pilato, che all’arroganza anche estetica di Voland (che sulla scena indossa uno smoking) oppone un aspetto trasandato e lercio, lamenta una perenne emicrania e ricorda ossessivamente l’incontro con Cristo (che chiama “Ha-Nozri”, il Nazareno), anticipato dal perentorio incipit: «Al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande entrò il procuratore della Giudea Ponzio Pilato». Tuttavia il carnefice, diventato vittima, estende la sua misera condizione a quella di tutti gli esseri umani: «L’uomo può sempre scegliere. E questo lo distrugge». Quando l’eco delle violente parole di Ponzio Pilato risuona ancora nella mente di un pubblico oramai stordito, comincia la seconda parte del dramma.
Nella Milano dei nostri giorni – il romanzo di Bulgakov era ambientato nella Russia degli anni ’30 – un giovane uomo (Matteo Bonanni), aspirante scrittore in cerca di fama, si trasferisce in un seminterrato situato nel centralissimo quartiere Brera, dopo aver vinto alla lotteria. Qui comincerà a scrivere famelicamente il suo romanzo, che racconta del personaggio più solo della storia dell’umanità, Ponzio Pilato. Al contempo una giovane ragazza milanese di nome Margherita, sposata con un uomo di cui non è mai stata innamorata, riversa le sue frustrazioni passeggiando giornalmente lungo i Navigli, destinati a diventare il luogo scatenante il cosiddetto “colpo di fulmine” tra i due giovani. La lettura avvincente del romanzo su Ponzio Pilato porterà Margherita a conferire l’appellativo di “maestro” al suo giovane amante; inoltre, lo spronerà più volte a presentare il libro a una casa editrice. L’incontro con il mondo esterno – che altro non è che il mondo dell’editoria – “costringe” il Maestro ad uscire dal “nido” in cui si era rintanato con la bella Margherita. Con una efficace battuta prolettica, egli dirà: «Quando entrai nella vita, la mia vita finì». L’incontro con l’editore (sardonicamente interpretato dallo stesso personaggio femminile che, per simulare la spietatezza di questa figura, indossa una maschera canina rabbiosa e perturbante) implicherà, di fatto, l’inizio della fine. Accusato di perseguire una «ignobile ideologia politica», il giovane e fragile maestro, incapace di porre rimedio alla situazione, brucia il suo libro e cade in una irreversibile depressione che lo porterà a trascorrere la parte restante della sua vita in una casa di cura per malati mentali. A Margherita, rimasta sola e sofferente, non resta che ricominciare a passeggiare lungo i Navigli, nella speranza che almeno il ricordo di lui plachi il suo animo. L’incontro imprevisto con Voland (che coincide sulla scena con l’inizio dello spettacolo) fungerà da “catarsi”, poiché, persuasa dalle sue dissertazioni, la giovane donna decide di raggiungere in un indefinito altrove l’amante, certa di poter ricomporre, in un’altra dimensione spazio-temporale, il romanzo dato anzitempo in pasto alle fiamme, nonché la storia d’amore brutalmente interrotta. Margherita si libra in volo, consapevole che il suo destino si sia fuso con quello di Ponzio Pilato («Quel Pilato tormentato dal dolore e dal rimpianto sono io») e comincia a danzare con il Maestro. I passi di danza che chiudono lo spettacolo sembrano voler ossimoricamente raccordare le due parti, il Bene (Margherita e il Maestro) con il Male (Voland e Ponzio Pilato), rendendole molto meno distanti l’una dall’altra.
Immagine di copertina: foto di Federico Buscarino