Arti Performative

Dario Marconcini // Memory Plays – trilogia pinteriana

Valentina Solinas

Dario Marconcini ricorda Harold Pinter nella trilogia della memoria dell’autore londinese: “Silenzio”, “Notte” e “Voci di famiglia”, tre testi che esplorano il rapporto tra memoria e incomunicabilità

Tre sedie equidistanti al centro del palco, tre persone sedute in età avanzata che fissano il vuoto durante una lunga introduzione musicale. Nessun altro elemento sul palco.

Silenzio apre la trilogia pinteriana Memory Plays di Dario Marconcini, un lavoro su tre testi dell’autore inglese, che esplorano la memoria e l’incapacità di comunicare; due argomenti cardine della drammaturgia di Harold Pinter, premio nobel 2005, che negli anni Settanta scrive una serie di drammi proprio legati al tempo passato, alla dimenticanza, e al ricordo; la serie di drammi s’intitola appunto Memory Plays come il lavoro che riunisce i tre spettacoli Silenzio, Notte e Voci di Famiglia su cui Marconcini ha lavorato e che ha messo in scena nel 2014.

Silenzio è uno tra i più interessanti, forse proprio per la sua struttura intrecciata, al limite del nonsense, interrotta da momenti di pausa intensi. La memoria, qui, è presentata nel suo lato più oscuro, i ricordi dei tre tenebrosi personaggi si perdono nelle parole lasciate a metà e i momenti di amnesia, confusione o censure auto-inflitte che arrestano la parola per lasciare posto al silenzio. Nella pièce tutto è lasciato in sospeso come il tempo: tre personaggi condividono lo spazio scenico senza incontrarsi mai, ognuno chiuso nel proprio mondo di ricordi. Essi s’incontrano sulla scena in quei rari momenti in cui le memorie si sovrappongono inconsapevolmente; sembrano materializzare dei ricordi che subito svaniscono lasciando i personaggi nell’incertezza e nella solitudine.

In soli dieci minuti Notte racconta il passato confuso di una coppia matura che cerca il ricordo del loro giovane amore, della passione ormai spenta, consumata come il pasto di cui i resti sulla tavola testimoniano la fine. La possibilità di ritrovarsi è nella memoria che, qui, è celebrata come unica fonte della testimonianza di un trascorso cercato da entrambi, anche se i ricordi offuscati si contraddicono, e si confondono perdendosi gli uni negli altri.

Voci di famiglia chiude la trilogia pinteriana; l’ultimo spettacolo riflette su un allontanamento familiare di una madre e un figlio. A unirli la nostalgia del padre morto che riaffiora nella memoria di entrambe rievocando momenti di quotidianità famigliare che a volte pur nella loro tragicità restano intrappolati nella comicità del testo drammaturgico e nell’interpretazione concitata di Emanuele Carrucci Viterbi, che in questo Voci di famiglia sfoggia le abilità di un caratterista, nei panni di un gentleman inglese con un’esperienza sessuale acerba e l’ingenuità di un bambino cresciuto. Racconta al pubblico le esperienze vissute lontano dalla madre, agitandosi su un divano rosso; mobilio che per associazione potremmo ricondurre al tipico sofà di uno studio psichiatrico, soprattutto per la struttura del monologo del protagonista che in molti tratti ricalca i contorni di una seduta di psicanalisi regressiva.

La profondità con cui Harold Pinter scavava la psicologia dei suoi personaggi, eredità naturalista del teatro di Cechov e Ibsen, è evidenziata in tutti e tre questi racconti scritti fra il 1969 e il 1981 che sono proposti come celebrazione della memoria, intesa come parte della storia individuale, elemento essenziale della nostalgia e dell’emozione. I personaggi anaffettivi e incapaci di comunicare di Pinter si ritrovano nella recitazione fredda e distaccata degli attori, portatori di un dialogo eternamente interrotto che spesso si sovrappone tra i personaggi per perdersi in litanie e lamenti. La confusione dei personaggi sulla scena rispecchia la complessità mentale dei caratteri pinteriani, dove il ricordo finisce per confondersi con l’invenzione e la distorsione di una realtà che dopo un po’ di tempo non può più essere oggettiva, ma è sempre più introspettiva, riflesso del presente.

«Il passato è ciò che tu ricordi, che immagini di ricordare, che ti convinci di ricordare, oppure fingi di ricordare». [H. Pinter]


Dettagli

  • Titolo originale: Memory Plays

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti