Dal silenzio alla voce passando dal caso: “cinquiNA”. Intervista agli organizzatori
La drammaturgia sonora, disgiunta dai vincoli dello spazio fisico, sembra rifiorire e regalare esiti artistici molto interessanti in tempo di quarantena, forse perché queste ci consentono di viaggiare con la mente e ci lasciano immaginare il nostro corpo altrove. Un modello attraverso cui riscoprire la bellezza di certi viaggi è rappresentato dal progetto cinquiNA. Una proposta davvero particolare, verrebbe quasi da dire “postmoderna”, per la sua orizzontalità e il legame con i processi aleatori. Chi lo ha ideato, realizzato e organizzato – i napoletani Tommy Grieco, Ilena Ambrosio, Chiarastella Sorrentino, Rosita Vallefuoco, Napoleone Zavatto – ha intuito quanto ci sia bisogno di formati sintetici, pratici, della durata di 5 minuti al massimo. Abbiamo ascoltato i brani della prima cinquiNA e la qualità è lampante: testi di Elvira Buonocore, Raffaele Cars, Emanuele D’Errico, Davide Pascarella, Joseph Troia; le voci di Loris De Luna, Daniela Ioia, Francesca Iovine, Riccardo Marotta, Chiarastella Sorrentino; le musiche di Claudio Di Gennaro, Tommy Grieco, Roberto Ormanni, Francesco Santagata, Fabrizio Siricio; gli artwork di Trisha Palma, Antonio Romano, Daniele Stella, Rosita Vallefuoco, Yan Wen.
La novità di questi ascolti (che si possono trovare distribuiti su numerose piattaforme online come Spotify, Google Play/YouTube, SoundCloud, Apple Music, iTunes, tra le altre) ricorda la forza che dovettero avere i Lieder nell’Ottocento: la bellezza della musica unita alla forza delle parole. Ci ha colpito, in particolare, Filastrocche, sia per la profondità psicologica del testo sia per l’attualità del contenuto: in tempo di guerra, la necessità di credere in qualcosa, foss’anche solo la possibilità di amarsi o di ritrovarsi ancora, è il baluardo di due esistenze ignote, anime e corpi che si sfiorano per pochi istanti, ma solo sugli schermi.
Gli organizzatori di cinquiNA tengono a sottolineare che il loro, oltre a essere un format artistico, costituisce un esperimento sociologico per capire quanto gli artisti oggi siano responsabilizzati anche senza una legittimazione gerarchica, senza un regista alla guida. Le cinquine del nome, infatti, sono così descritte: “Protagonista del gioco è il numero 5. Per ogni giocata venti artisti, ignari delle reciproche identità, vengono divisi dal caso in 5 gruppi, ciascuno composto da un autore/autrice, un attore/attrice, un/una musicista, uno scenografo/scenografa. Quinto componente è un elemento imprevisto, un mood da dare a tutti i livelli della composizione e affidato ai gruppi sempre con un sorteggio. Dopo la consegna, prevista entro il quinto giorno dalla formazione dei gruppi, le creazioni vengono pubblicate sui principali store musicali e condivise tramite social.”
Ne abbiamo parlato con gli organizzatori.
Il vostro è un gruppo formato da cinque persone. È un caso?
Cinque ci sembrava il numero perfetto, al posto del canonico tre. Per quanto riguarda noi, sì, che fossimo in cinque è stato abbastanza casuale.
Il teatro in questo momento sta reagendo in tutti i modi possibili a questa cultura della crisi. C’è chi preferisce il silenzio, chi diffondere attraverso il web cultura nella forma del documento, del reperto. Voi avete pensato che poteva essere ugualmente possibile gettare le basi per una progettualità che permanesse anche dopo, che consentisse agli artisti di sperimentare nuove e inaspettate forme di collaborazione. Quando, esattamente, avete realizzato che questo progetto poteva essere una risposta a questo preciso momento storico?
Tommy: Mi fa troppo sorridere che c’è stato un giorno preciso in cui io ho espresso questa mia idea: il 18 marzo. Dal 18 marzo in poi c’è stato un giro di chiamate: io chiamo Rosita, Rosita mi dice che dobbiamo chiamare Chiara. Con Chiara, per capire come sviluppare il tutto, pensiamo che dobbiamo chiamare Napoleone, e così via. Ci siamo poi ritrovati in cinque, perché si è aggiunta Ilena.
Quando è scattata in Italia l’emergenza, e quindi il lockdown, ho sentito l’esigenza di cercare un modo per raccontare questo silenzio che mi faceva male. In una fase che ha richiesto a tutti noi di isolarci, io volevo invece condividere, scambiare, costruire, creare, anche durante questo momento di paura e di panico. Noi, ci teniamo a ribadirlo, al teatro dobbiamo tanto, quasi tutto, di ciò che sappiamo fare: il teatro è frutto di un lavoro corale, è un organismo fatto di molte competenze. Io funziono se c’è un gruppo, e piuttosto che fare una diretta da solo su un canale social, ho pensato di continuare a creare insieme agli altri. Gli artisti non si sono fermati, in nessun modo. Da qui nasce cinquiNA, dal desiderio di condivisione, di unione. Avevamo capito presto che essendo il virus molto contagioso, i teatri sarebbero stati fra i primi luoghi a dover chiudere i battenti, accanto a tutti gli altri eventi dal vivo, perché la prossimità fisica è improvvisamente diventata un problema enorme. Ci è stato quindi subito chiaro che le conseguenze di questo non sarebbero durate solo due mesi, ma molto di più.
Perché avete preferito conservare la definizione di “gioco” per connotare il vostro progetto?
Tommy: Dopo aver chiamato Napoleone abbiamo attraversato la fase del naming. Ci sembrava importante il riferimento ludico. Pensiamo fermamente che questo sia un gioco: la prima cosa che diciamo ai partecipanti è “Buon divertimento”. Così facendo, diamo una possibilità divertente agli artisti di fare conoscenza tra di loro. Il fatto che molti di loro non si conoscano reciprocamente è bellissimo. Non mi aspettavo, in un momento così, di conoscere, a ogni giro del gioco, venti persone nuove. Pensa che neppure noi cinque ci siamo ancora visti dal vivo…
Come è nata, quindi, questa rete tra di voi, intendo dire virtualmente? In base a quali criteri vi siete cercati? E come si suddividono i compiti fra di voi?
Tommy: Ci si sceglie nel corso del tempo, si guarda a quelli che sono gli amici e alle loro competenze. Chiarastella è un’attrice, e si occupa della gestione dei vari ruoli dei partecipanti e cura i social media; Rosita è una scenografa e si occupa di tutti gli scenografi e della tecnica; io sono compositore, Napoleone è organizzatore, ci “bacchetta” e ci indirizza un po’ su come possono essere suddivisi i ruoli tra noi; Ilena è la nostra mitica addetta stampa.
Ilena: È tutto molto trasversale, nel senso che, sì, abbiamo dei ruoli ben definiti, ma i confronti avvengono sempre fra tutti e cinque, sia a livello organizzativo sia creativo. L’idea dello scambio orizzontale che si tenta di portare nel gioco si manifesta in primis nella squadra. Per quanto riguarda la rete degli artisti, nel breve periodo andiamo avanti con la nostra ricerca, stiamo cercando di attivare un passaparola anche tra gli stessi artisti. Tutto segue il meccanismo della rete, che è fatta di ganci, e da un gancio all’altro, si può arrivare lontano.
Tommy: In qualche modo stiamo esprimendo ciò che diceva Bauman alla fine degli anni ’90, sulla società liquida. Stiamo dimostrando quanto siamo fluidi e possiamo diffonderci senza avere limiti. Stiamo vivendo questo tempo raccontandolo, attraverso gli strumenti che abbiamo, nonostante i limiti.
Chiarastella: Io Napoleone l’ho incontrato dal vivo una sola volta, Ilena non l’ho mai vista, e anche da giocatrice di cinquiNA mi sono trovata a lavorare con persone con cui non ho mai parlato dal vivo. Si tratta di un paradosso molto interessante: possono nascere delle relazioni artistiche, creative e umane anche in un periodo del genere, in cui siamo coercitivamente isolati. Grazie alla tecnologia e allo spirito di iniziativa dell’essere umano si possono fare molte cose. Questo, credo, è il grande insegnamento che ci sta offrendo cinquiNA.
Il nome del progetto mette in evidenza anche le vostre radici geografiche. Siete tutti napoletani?
Chiarastella: Sì, ma anche un po’ dell’hinterland, delle “campagne”! Questo dei caratteri “N” e “A” in maiuscolo è stato un argomento molto dibattuto tra noi: ci interessava partire da un territorio circoscritto, anche se poi, di fatto, Napoli è immensa, e prima del Covid-19 la città risplendeva tantissimo per la sua vitalità e fertilità artistica. Ci dicevamo che ci sono molti artisti talentuosi, che non hanno mai provato a mescolarsi tra di loro oppure a esprimersi e arricchirsi diversamente. Per questo siamo partiti da Napoli, anche se resta ferma la nostra intenzione di proseguire ed estendere gli orizzonti e i confini geografici del progetto.
Ciò che oggi è virtuale, però, domani potrebbe diventare reale, essendo tutti nello stesso territorio. Ne avrete sicuramente possibilità, e probabilmente anche il desiderio.
Tommy: È una grande soddisfazione sentire dagli artisti coinvolti “però poi, dopo… pensiamo a qualcosa da sviluppare insieme”. Ci sentiamo come il seme da cui potrà nascere una nuova pianta, ed è un po’ quello che noi vogliamo trasmettere, scardinare l’assunto che spesso le persone preferiscono muoversi su terreni già conosciuti, già battuti, lavorando con colleghi che si conoscono già. Con il sorteggio, tanto puoi capitare in gruppo con una persona che conosci, tanto con una che non conosci, e con quest’ultima vieni “costretto” a lavorarci. Il frutto di questa unione è qualcosa di diverso in cui ti riscopri, ti rimetti in discussione: cosa fondamentale per qualsiasi artista, secondo me.
Un altro aspetto molto interessante di cinquiNA risiede nel fatto esclude volutamente uno dei cinque sensi, la vista. Un senso che dà il nome al “teatro” stesso, che secondo l’etimo greco rappresenta il luogo “dal quale si guarda”. Chiedete agli artisti, dunque, di uscire anche da un altro tipo di comfort zone, ovvero di lavorare solo su un piano sensoriale specifico. Una scelta che in questo momento storico mi sembra molto adeguata, perché è una forma artistica compiuta, fruibile in tutta la sua interezza. In questo periodo sono poche le iniziative legate ad artisti teatrali, meritevoli, che fanno uso anche di uno spazio visibile (ad esempio, la serie “Decreto quotidiano” di Michele Sinisi).
Noi ci teniamo a precisare che quello che facciamo non è teatro. Abbiamo un rispetto così grande del teatro che non vogliamo affatto sostituirci ad esso. Tuttavia, con il teatro sentiamo di avere comunque un debito. Oltre ai crediti, infatti, abbiamo inserito anche i “debiti” in questo progetto: «al Teatro che amavamo prima del Covid-19». Entra in gioco un modo diverso rispetto al teatro sia di fruire sia di creare. Per questo abbiamo scelto di non mostrare video, perché altrimenti sarebbe stato accentuato il legame con il teatro, giustamente, mentre noi volevamo dare un’altra impressione. Ci sono gli artwork associati alle tracce a compensare l’aspetto visivo, come fossero una copertina simbolica del contenuto.
Le opere che sono state realizzate hanno la durata media di una canzone, ma non sono canzoni, sono delle vere e proprie drammaturgie sonore. Anche se sono presenti degli aspetti musicali molto interessanti, che sicuramente avvicinano un certo tipo di pubblico. Come il teatro, però, questo progetto costruisce delle relazioni, compie delle associazioni: se il teatro resta un linguaggio convenzionale, alimentato dall’immaginazione e dall’immaginario dello spettatore, anche qui la forma sonora ci consente di continuare a sognare, di chiudere gli occhi e immaginare…
Tommy: A teatro spesso si fa un lavoro di sublimazione sulla scena. Noi abbiamo cercato di fare la stessa cosa: solo, con l’audio.
Ilena: Immediatamente dopo il corpo, che ora ci è “negato”, ciò che di più concreto possa esserci è la voce, che possiamo fruire senza surrogati ma direttamente attraverso l’udito.
Quali sono stati i tempi di elaborazione del progetto?
Soprattutto per la prima cinquina abbiamo iniziato a cercare fra gli amici, le persone vicine, che hanno sposato il progetto in tutte le sue intenzioni. C’è stata una prima settimana di adesione e di ricerca; oggi arrivano anche candidature spontanee: è un risultato di cui siamo molto fieri, vuol dire che dall’esterno si legge tutto l’entusiasmo che ci stiamo mettendo.
Vorrei tornare sulla dimensione del “gioco”, una definizione che potrebbe sembrare anche una forma di autodifesa, un limite, al di là del richiamo all’aspetto ludico: di fatto, “cinquina” è un’espressione mutuata dal gioco della tombola (e il maiuscolo finale nel nome rimanda alla sigla per la provincia di Napoli, dove tutto è partito). È anche perché lo reputate un esperimento che fa da preludio a qualcosa di più articolato?
Rosita: Non la vedo come una nostra difesa, anche se capisco perché lo dici. È nostra intenzione mantenere delle regole di gioco. Tra queste abbiamo pensato all’”imprevisto”: ogni cinquina che viene formata deve sottostare a un imprevisto che viene stabilito (per esempio, per la seconda cinquina l’imprevisto è stato “i cinque sensi”) e ogni volta cambia. Se decidi di giocare ci sono delle regole da osservare.
Chiarastella: In realtà anche durante il sorteggio, in diretta, ci siamo studiati un metodo per ribadire tutte le regole che ci stanno a cuore studiate insieme; poi, per quanto ci riguarda, ci siamo detti un po’ tutti che non c’è niente di più serio di un gioco. Pensa ai giochi olimpici, c’è il desiderio di giocare seriamente, di prendere sul serio un gioco fino in fondo. Noi lo abbiamo visto con i nostri partecipanti. Allo stesso tempo, non c’è la pretesa che sia lavoro, ma qualcosa di giocoso fatto seriamente.
Ilena: È gioco ma non è uno “scherzo” quello che facciamo, ha una struttura rigorosa. Anche il teatro è una finzione giocosa, in sostanza, ma questo non le toglie spessore. Siamo all’interno di uno schema che ci stiamo creando e stiamo collaudando di volta in volta. Non è qualcosa che vuole distoglierci da questo tempo, ci rallegra ma operiamo con serietà. Se deve essere un gioco, ecco, è una sorta di Lego: stiamo mettendo dei “mattoncini” e attraverso quelli speriamo di costruire qualcosa di sostanzioso e bello. Prima ci chiedevi di Napoli. Vediamo questa città come il punto di partenza per estendere la nostra rete anche geograficamente, la nostra “costruzione”.
Di solito, quando si è in tanti, all’interno di un processo, tra la comunicazione e il rispetto di un regolamento, è possibile che si verifichi qualche passaggio intermedio, magari che si utilizzino alcuni strumenti e tecniche per organizzarsi al meglio. A livello di logistica che cosa accade in un progetto totalmente virtuale e stratificato come questo?
Napoleone: La nostra architettura di gioco funziona così: convochiamo i partecipanti, che sanno già quello che devono fare ma non si conoscono. Si conoscono, danno il loro obiettivo. Da quel momento scompariamo. Il come, il quando, il perché, è tutto lasciato decidere a loro. Noi riappariamo dopo cinque giorni, quando prendiamo la loro creazione e cerchiamo di farne una narrazione per divulgarla all’esterno. Le loro modalità per noi sono mistero.
E sul risultato, vi sentite soddisfatti? Lo accettate così come ve lo consegnano?
Rosita: Sì, non interveniamo sul risultato, semmai lo facciamo prima, attraverso le regole e la scelta delle persone (non però delle composizioni dei gruppi). È come quando inviti qualcuno a una festa a casa tua, decidi chi invitare e le persone iniziano in quell’occasione a dialogare e a conoscersi fra loro. Si raggiunge anche una certa soddisfazione se sai essere un buon padrone di casa, se la festa ti riesce, insomma.
È molto “made in Naples” tutto questo, l’essere molto ospitali.
Sì! Infatti una cosa che ci ha commosso è stato sentirci dire che siamo degli “ottimi padroni di casa”.