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Dal LAC di Lugano al B.Motion Teatro arriva ‘Nettles’ di Trickster-p. Intervista alla coideatrice Cristina Galbiati

Renata Savo

È ancora calda l’estate in Veneto, e in particolare a Bassano del Grappa, comune situato nel mezzo tra le province di Padova, Vicenza e Treviso. Qui, nell’elegante borgo che costeggia il fiume Brenta, brulicante di turisti provenienti da tutto il mondo, tra un aperitivo e l’altro (per cui la città è rinomata) procede con successo la 38^ edizione di OperaEstate Festival. In questo periodo, OperaEstate accoglie un’offerta più sensibile ai linguaggi contemporanei con B.Motion, un vero e proprio festival dentro il festival. Dopo B.Motion Danza, che dal 22 al 26 agosto ha ospitato molte prime nazionali di artisti stranieri (gli israeliani Yaara Moses, Ido Batash, Iris Erez, Ari Teperberg; l’afroamericana Nora Chipaumire, Christos Papadopoulous dalla Grecia, la norvegese Ingrid Berger Myhre, la canadese Melanie Demers, il coreografo francese Filipe Lourenco, e altri) è tempo di B.Motion Teatro, iniziato ieri 28 agosto e che proseguirà fino al 7 settembre. Questo weekend, proprio nell’ambito di B.Motion Teatro, venerdì 31 e sabato 1 settembre, ci sarà Nettles di Trickster-p. Trickster-p non ama definirsi né una compagnia né un collettivo, piuttosto, un “progetto” di ricerca artistica, nato nel cantone della Svizzera italiana dall’incontro tra Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl.
Nettles è una drammaturgia visivo-sonora senza attori all’interno di uno spazio fisico elaborato. Una sorta di installazione dentro cui lo spettatore si muove da protagonista e testimone. Si viene guidati, tramite auricolari, a immaginare la relazione tra plastici, oggetti, arredi, buio, e l’intima narrazione vocale, che parla al tempo stesso di infanzia, di morte e di vita.
Nettles – co-prodotto da LuganoInScena e da FOG Triennale Milano Performing Arts, Teatro Sociale Bellinzona, Theater Chur, ROXY Birsfelden, TAK Theater Liechtenstein – ha debuttato a Lugano tra l’11 e il 15 aprile 2018 ed è il primo esito di un progetto più esteso; la compagnia è infatti residente al LAC – LuganoInScena – Lugano per il triennio 2018-2020. I ticinesi Trickster-p sono stati insigniti del Premio svizzero del teatro 2017, e loro lavori hanno fatto in questi anni il giro di oltre trenta paesi nel mondo. In occasione della presentazione bassanese di Nettles abbiamo voluto fare qualche domanda a Cristina Galbiati, che ne è l’ideatrice accanto a Ilija Luginbühl. Altri principali collaboratori sono stati in questa occasione la dramaturg Simona Gonella e il compositore e violoncellista Zeno Gabaglio.

Ilija Luginbühl e Cristina Galbiati

Trickster_p. Da dove proviene e quale significato ha per voi questo nome?

Il nome ‘Trickster’ deriva da un’intuizione filosofica, quella del “briccone divino”, e quindi da questa sorta di anello di congiunzione tra l’umano e il divino, ma senza la caratterizzazione pesante che aveva per esempio il Prometeo greco: il trickster è briccone, furbo. A dirla tutta, noi siamo nati come Trickster Teatro. Con il passare degli anni abbiamo tolto la parola “teatro” perché ci sembrava limitante e ci chiudesse in una categoria troppo stretta. Ciò che stiamo cercando di fare, invece, è proprio uscire dalle categorie. Dato che però Trickster da solo ci sembrava un po’ “nudo”, abbiamo aggiunto questa piccola “p” che sta per “produzioni”, per “progetti” e per “performance”e che vuole “aprire” anziché “chiudere” l’orizzonte della nostra ricerca artistica.

 

Quali ragioni ci sono dietro questo cambio di rotta, che cosa vi affascina di questo tipo di fruizione che non vede più al centro il performer ma lo spettatore, e quali parole usereste, alla luce di questa particolare caratteristica, per definire il vostro lavoro, che vien difficile chiamare “teatro”?

Lo spettatore è sempre stato anche prima un elemento abbastanza centrale nella nostra ricerca. Ci ricollega a che cosa vuol dire fare arte, fare teatro, oggi, in un’epoca in cui le condizioni generali sono cambiate rispetto a quello che forse era dieci, vent’anni fa. E lo spazio, in questo approccio, ha avuto un ruolo fondamentale: è stato l’anello di congiunzione tra la nostra proposta artistica e lo spettatore, finché non abbiamo quasi avuto la percezione che il performer fosse, tra virgolette, “di troppo”, nel senso che creava una sorta di sovra-relazione. È allora che il nostro punto di interesse è diventato «che cosa succede se lo spettatore è da solo e non deve relazionarsi con un altro performer, ma soltanto con se stesso?», e questo è stato il centro della nostra ricerca degli ultimi anni, che portiamo avanti in diverse forme. Io dico sempre che quello che facciamo è anche connesso a un aspetto intimo dello spettatore: viviamo in un momento storico in cui, anche come esseri umani, siamo chiamati in causa come esseri sociali, cioè a essere molto estroversi persino nei momenti di solitudine, con i social network e le nuove tecnologie che ci fanno avere sempre meno momenti di intimità e occasioni per stare da soli. Diciamo che nel nostro desiderio di mettere lo spettatore al centro c’è il desiderio di recuperare quell’attimo in cui lo spettatore da solo si relaziona con se stesso senza dover rendere conto a terzi.

 

Nel corso della stagione 2017-18 di LuganoInScena il nome del vostro collettivo figurava accanto a quello di Milo Rau, Rimini Protokoll e Berlin. Siete stati con loro protagonisti del Focus Domani. Cosa vi lega, vi unisce, personalmente, a questi artisti?

Sicuramente sono un punto di riferimento, fanno parte di quella che è la grande scena contemporanea europea, per cui non si può prescindere da loro. Quello che a un livello personale mi riguarda è una ricerca formale, e il come oggi la forma possa diventare anche contenuto. Questo è anche il legame che sentiamo di avere con questa tendenza europea del teatro contemporaneo. Proprio perché noi lavoriamo anche in una piccola periferia [a Novazzano, dove hanno fondato la Casa del tabacco, spazio di creazione e sperimentazione a pochi chilometri dal confine italo-svizzero, ndr], nonostante i nostri progetti siano presentati internazionalmente, è sempre molto importante poter avere dei riferimenti esterni, anche per rimanere al passo coi tempi.

“Nettles”- dettaglio

Nettles è la prima tappa di una residenza artistica triennale al LAC di Lugano. La performance, senza attori, è un percorso che lo spettatore compie sui temi dell’infanzia e della morte. Si tratta di un’esperienza molto intimista (anche commovente, come abbiamo provato sulla nostra pelle a Lugano), ed esplora la relazione tra una bambina, una giovane donna, e il suo lutto per la perdita di un padre. Tra un ambiente e l’altro si avverte l’asfissia dell’assenza, che può sembrare un ossimoro, ma è esattamente quella la sensazione, che è assolutamente liberatrice e catartica. Che cosa vi ha spinto a trattare questo tema?

La reazione che tu hai avuto, come quella di molti spettatori commossi, è per noi un po’ inaspettata, anche se ovviamente interessante. È una cosa che nelle prime repliche abbiamo sperimentato molto e devo dire che il fatto di riuscire a muovere lo spettatore è sempre un obiettivo, ma non piace che diventi l’unico. Mi piace che si lavori su altri canali e che l’emozione, la commozione, dello spettatore sia un risultato successivo. Rispetto al tema, dell’infanzia, era quello che Carmelo Rifici aveva scelto di mettere al centro del Focus Domani della stagione 2017-18. Siamo partiti dall’infanzia, quindi, ma a un certo punto ci siamo resi conto che era necessario trovare una sorta di contrappeso per evitare di cadere nei cliché e consentire al tema di respirare in maniera più ampia. Il contrappeso che ne è sortito, in un’ottica dialettica, ma anche di rapporto passato-futuro, è stato quello della morte. Nella fase di ideazione del lavoro la figura del padre non era stata prevista, ma è entrata nel percorso di creazione, che è stato un percorso organico, che dal tema principale poi ci ha portato a evidenziare tutta una serie di altri temi che apparentemente forse non sono così connessi, ma che in realtà proprio per creare un equilibrio tra i temi sono ponderanti. Penso, per esempio, a tutta quella serie di questioni, riflessioni e constatazioni che vengono dall’ambito scientifico, letterario o filosofico e che costituiscono una sorta di controcanto al materiale più direttamente autobiografico. O alla presenza quasi ricorrente di elementi che si riallacciano all’ambito della religione cattolica che sono emersi nel lavoro senza che li cercassimo in maniera consapevole.

 

Oltre agli oggetti e alle immagini anche il suono assume un valore centrale nell’esperienza. Quale valore associate al suono nella vostra ricerca? E in questa ricerca il silenzio è contemplato?

Una cosa per me fondamentale è che quando penso alla drammaturgia non mi riferisco mai solo al testo, ma a un insieme di elementi. Tra questi il testo è sicuramente importante, però l’aspetto visuale e quello sonoro diventano assolutamente centrali. Perciò, la costruzione drammaturgica è il dialogo tra questi elementi; motivo per cui il suono non è mai solo una colonna sonora, ma diventa un’asse portante e spesso nutre anche a livello di suggestione, al momento della creazione, gli altri elementi. Sì, il silenzio è contemplato, e in realtà è usato in maniera molto consapevole: la settimana scorsa stavo lavorando alla traduzione in tedesco di Nettles, mi sono riavvicinata allo spazio sonoro dopo un paio di mesi e mi sono resa conto che i momenti di silenzio sono apparentemente pochi, ma proprio perché sono pochi diventano una sorta di punteggiatura del lavoro.

 

Quali sviluppi prevede il progetto triennale al LAC – Lugano Arte e Cultura iniziato con Nettles?

Il progetto triennale è il progetto di residenza al LAC. Normalmente come Trickster-p realizziamo produzioni ogni due anni, quindi la prossima produzione debutterà forse all’inizio del 2020. A me interessa partire più dalla forma che dai contenuti, e ora infatti stiamo investigando una possibile forma: come riuscire a mantenere questa intimità dello spettatore trasformando lo spazio, non avendo più uno spazio da attraversare, se non, forse, solo con la mente; ma siamo proprio agli albori, e questi sono i primi pensieri, che potrebbero anche essere totalmente stravolti.

 

 

 

 

 



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