Compagnia del Sole // “Il giuocatore”
Esistono brani musicali ritenuti leggendari ancor prima di diventare celebri. È il caso di The House of the Rising Sun, canzone derivante dalla melodia di una ballata tradizionale inglese del XVI secolo le cui liriche, secondo l’ipotesi più accredita, furono scritte solo due secoli dopo da George Turner e Bert Martin, una coppia del Kentucky che intitolò la canzone The Rising Sun Blues. Passarono diversi anni prima che, nel 1934, venne incisa dal suonatore di banjo statunitense Clarence “Tom” Ashley, tuttavia senza sortire effetti degni di nota. Di lì in poi presero il brano tra le mani – cantandolo in due versioni, dal punto di vista femminile e maschile – alcuni dei musicisti più influenti dell’epoca: da Woody Guthrie a Glenn Yarbrough, da Pete Seeger a Joan Baez fino ad arrivare a Bob Dylan; una lunga sfilata di grandi nomi si alternò senza, però, riuscire ancora a consegnare la versione che tutti ricordiamo. Per averla occorrerà attendere il 1964, anno in cui una giovane band di Newcastle dal look di bravi ragazzi che faceva a pugni con la propria indole selvaggia la resero immortale. Il nome del gruppo – The Animals – lascia poco spazio all’immaginazione e The House of the Rising Sun – storia di una casa di tolleranza tra miseria e perdizione – sembrava cucita su misura addosso al frontman Eric Burdon e al resto della band.
Proprio The House of the Rising Sun, eseguita più volte dal vivo sul palco del Teatro Piccinni di Bari è il leitmotiv de Il giuocatore di Carlo Goldoni, nuova produzione della Compagnia del Sole per la regia di Marinella Anaclerio. Scritta nel 1750, l’anno della scommessa con il proprio pubblico che portò alla stesura di ben 16 commedie nuove, l’opera è una delle meno note ma allo stesso tempo una delle più pregne di tinte tragiche del commediografo veneziano. A sorprendere, però, è soprattutto l’incredibile attualità della pièce, incentrata sulla caduta seguita dai disperati tentativi di risalita di un ludopatico all’interno del suo luogo/universo di dannazione che «It’s been the ruin of many a poor boy». Proprio questi tratti di universalità e modernità dell’opera consentono ad Anaclerio di ambientare la fabula negli anni Cinquanta del secolo scorso (costumi di Simona De Castro), in maniera tale da mantenere inalterati i giochi, le promesse e i sotterfugi matrimoniali attorno a cui ruota Il giuocatore e che altrimenti andrebbero persi in un’attualizzazione più estrema.
Le vicende di Florindo (Tony Marzolla), dunque, prendono vita in una scena cangiante che ricrea, di volta in volta, una bisca e l’interno di un palazzo altolocato tramite pannelli mobili (scenografia di Pino Pipoli) mossi talvolta a vista dagli attori – quasi a ricreare un mazzo di carte mescolato – mentre Loris Leoci (chitarra e voce) e Patrizia Labianca (voce) intonano le vicissitudini di questo uomo che trascorre la propria vita «in sin and misery». Già, perché il giovane protagonista arriva a bruciare denari e affetti nell’arco di un’intera giornata passata tra tavoli da gioco, promesse non mantenute e castelli creati in aria pur di soddisfare il proprio patologico bisogno di un’effimera vincita nel gioco, reputata come unica ancora salvifica per dare una parvenza di ordine al caos interiore. A nulla servono i moniti di Pantalone (Flavio Albanese), padre della sua amata Rosaura (Antonella Carone): ormai è tutto compromesso, tanto da aprire non pochi dubbi su un finale orientato verso la redenzione.
Così, tra italiano e dialetto veneziano, gli interpreti in scena (citiamo il resto del cast composto da Stella Addario, Luigi Moretti, Dino Parrotta e Domenico Piscopo) si destreggiano abilmente in questa tragicommedia dai ritmi vertiginosi e dalle molteplici sfumature, confermando la crescita che la compagnia sta maturando – sia collettivamente che nei singoli – in questi dieci anni di attività sotto la guida dei fondatori Anaclerio/Albanese. Sempre attenta a questioni contemporanee, questa volta si confronta con un problema più che mai attuale ed esacerbato dalla pandemia con sconfortanti numeri: nel gioco d’azzardo in Italia nel 2021 sono stati spesi più di cento miliardi di euro, dato in aumento rispetto agli anni precedenti per un fenomeno diffuso tra le fasce d’età più disparate e la cui battaglia, attenuata solo da “amorevoli” consigli, è lontana da trovare una reale soluzione. D’altronde, se i classici continuano a parlarci in maniera così forte e chiara su taluni argomenti, “forse” non sono mai stati fatti dei significativi passi in avanti.
[Immagine di copertina: foto di Giuseppe Distefano]