Love, Faith, Hope: la trilogia del tedesco Ulrich Seidl giunge al termine chiudendo il cerchio iniziato a Cannes distendendosi sulla Berlinale per il gran finale. Paradies: Hoffnung è ancora il disgraziato amore, il paradiso perduto idealizzato e concretizzato nell’effimero manifestarsi dei sogni all’interno della propria testa. La convinzione di poter ottenere al di là delle proprie convenzioni sociali, di poter arrampicarsi sulla fede e l’illusione di poter fare affidamento su uno sguardo dolce, come nel caso della tredicenne Melanie Lenz.

Figlia della madre in “vacanza” in Kenya e nipote della fedele Anna Maria, Melanie viene scaricata in un campo per ragazzini obesi allo scopo di farla dimagrire: lontana dai genitori, si crogiola nel suo primo amore per il gentile dottore del campo (Joseph Lorenz). Lei in piena pubertà, ma ancora pura nei suoi casti abbracci, lui teso verso di lei, pur sapendo dell’impossibilità della realizzazione fisica di questa lenta attrazione. Seidl non risparmia nessuno nella sua passione per il grottesco, tirando lo spettatore come una corda di violino nella perenne attesa che qualcosa accada tra i due protagonisti.

La camera fissa ironizza sulle tristi sorti di questi ragazzini, tolleranti verso gli altri, ancora non toccati dalla crescita: eccetto Melanie, al principio della scoperta dell’inesistenza del Paradiso, una speranza, come da titolo, strangolata sul nascere dall’essenziale penna di Seidl. Così, mentre la macchina da presa indugia sulle contraddizioni di questi giovani parlare di corpi già adulti, le musiche e le canzoni invitano ad evidenziare doppiamente la cattiveria poi denudata nel finale, il cui rinculo raggiunge con le sue vibrazioni lo scorrere dei titoli di coda, mettendoci nelle condizioni di comprendere ancor meglio il male dell’essere che circola all’interno delle vene d’una stessa famiglia.