Cinema

Béla Tarr @ Toko Film Festival, Sala Consilina (SA)

Stefano Valva

Evento per palati fini e per amanti di cinema da festival quello tenutosi lo scorso 23 settembre allo storico Cinema Adriano di Sala Consilina, in provincia di Salerno. Grazie alla collaborazione tra lo staff del Toko Film Festival e quello di Scene Contemporanee, la platea ha potuto assistere ad un incontro con uno dei maestri del cinema ungherese moderno – ritiratosi da circa dieci anni – ossia Béla Tarr.

La masterclass – moderata con un’ intervista del giornalista di Fuori Orario Fulvio Baglivi – è stata preceduta dalla proiezione di uno dei capolavori dell’autore: Le armonie di Werckmeister.

Un film del 2000, non solo spartiacque tra due millenni, ma anche all’interno della stessa filmografia di Tarr, il quale attraverso una visione malinconica, introspettiva, misteriosa e graffiante di una cittadina ungherese e dei suoi abitanti, riflette sulle peculiarità dell’animo umano in relazione alla reazione, alla metabolizzazione più che alla rivoluzione nei confronti del regime comunista.

Reazione e rivoluzione sono concetti essenziali, che si intersecano nella narrazione (la quale è esplosione e/o rivisitazione secondo un linguaggio puramente cinematografico, e non un semplice adattamento del romanzo di László Krasznahorkai, così come afferma lo stesso regista), perché la violenza pura della massa contro le istituzioni si contrappone alla venerazione di altri idoli, magici e fittizi come la Balena e il Principe del circo. Perché la guerra civile si oppone a sequenze scandite di rassegnazione ed alienazione. Un vortice di azioni e di sentimenti, che raffigurano un dilemma e l’infinito scontro proprio tra reazione e rivoluzione, tra realtà e immaginario.

Se la visione del film è stato un momento speciale ed emozionante per i fan, interessante ed intrigante per il resto del pubblico, la breve masterclass tenuta dal maestro ungherese non è stata da meno, per via del suo essere assolutamente estroverso, sia nello spiegare senza filtri un originale modo di fare cinema, sia sull’essere pungente e diretto sulle questioni politiche, sociali e su quelle relative al cinema, anche italiano.

In primis, illuminante come ha mostrato il metodo di composizione del film, ossia il passaggio dall’idea al mettere nero su bianco il soggetto e l’organizzazione delle scene: attraverso dei fogliettini su un bloc-notes, ove ognuno equivale al numero delle sequenze e dei relativi stacchi; la scelta solitaria e sul campo della location, per immaginare già la posizione dei personaggi e il movimento della camera, quindi il conseguente decoupage; la location anche come caratterizzazione del personaggio, il quale è da trovare attraverso attori professionisti o meno, perché conta la fisiognomica più che il talento o il nome di spessore;

Infine, la scelta del tempo filmico attraverso l’armonia (parola chiave della serata) tra i vari ruoli volti alla realizzazione dell’opera – “quando vedo che ogni componente della troupe è in armonia con gli altri sul set, allora vedo che sto facendo un buon lavoro”.

Poi, il rapporto simbiotico tra il cinema e la musica, perché quest’ultima per Tarr è una sorta di personaggio, quindi va ricercato un accoppiamento armonico tra le due arti, per la fuoriuscita di una pellicola raffinata. Ciò anticipa anche un discorso sull’indipendenza marcata del linguaggio cinematografico da tutte le altre arti, in primis dalla letteratura. Quindi – come citato – il cinema non come adattamento del testo letterario altresì come rottura, come voce a sé stante, come “esplosione” di un romanzo da cui può avere origine.

Non sono mancate, inoltre, alcune stoccate sia alle nuove generazioni, sia al cinema italiano contemporaneo. Sulle prime il regista ha dichiarato: “la mia generazione ha fatto quel che doveva e poteva, ora tocca a voi” rivolgendosi ai giovani in sala. Sul secondo aspetto – dato che è un personaggio irriverente – Tarr non si è risparmiato sul cinema attuale “dove sono le nuove generazioni di registi italiani? Dove sono? Io mi sento attaccato ancora a Fellini, a Pasolini. A quella grandiosa generazione.”

Infine, la chiacchierata con Béla Tarr è stata esemplificativa non solo per comprendere un modo di intendere l’arte e il cinema unite al lavoro del regista e della produzione – che molti fan potevano per ovvie ragioni già conoscere – ma anche su come tutto un filone di autori e di pensatori nella storia professavano e a tratti ancor oggi professano un certo tipo di cinema (lontano dallo star system e dalle logiche commerciali), che negli anni è stato definito con i termini: puro, sperimentale, di nicchia, d’avanguardia. In sintesi, opposto al cinema cosiddetto capitalista.

Per quelli come Tarr il film è l’espressione delle volontà esclusive dell’autore, esso è come un figlio che deve nascere e crescere a immagine e somiglianza di chi lo crea, di chi lo idea, di chi ci lavora giorno e notte col pensiero e con l’azione. Il maestro ungherese è un deleuziano, considera i registi come dei pittori, perché devono esteriorizzare un personale linguaggio, perciò anche nel cinema si parla di stile e di poetica.

Dalle armonie di Werckmeister (nome di un visionario teorico musicale tedesco) a quelle di Tarr. Armonia dell’immagine, del linguaggio, dell’arte e di un individualistico modo di esprimersi, il quale può avere un epilogo: “quando mi sono reso conto che non avevo più nulla da dire, allora ho capito che la mia carriera doveva finire lì”.  



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti