Basileus – La scuola dei re
Quasi completamente racchiuso nel perimetro della Scuola Media Federico Fellini di San Basilio, quartiere dell’estrema periferia nord-est di Roma, Basileus osserva silenziosamente il percorso di crescita degli alunni (e dei docenti) di quattro classi attraverso un intero anno scolastico, tra lezioni e doposcuola, interrogazioni e attività ricreative, saggi di musica e gite fuori porta.
Recuperando e riaggiornando l’ideale filmico zavattiniano del “pedinamento”, Alessandro Marinelli – che firma la pellicola – e Simona Messina, nelle vesti mai troppo rigorosamente definite di registi, sceneggiatori, operatori, fonici e montatori, documentano la realtà scolastica senza imporre filtri ideologici, tentando anzi di scomparire dietro le pieghe di una narrazione che procede, come una sinfonia, per veri e propri movimenti tematici: i dibattiti sul crescere, le aspettative sul futuro, l’approccio anticonvenzionale all’insegnamento dei professori, l’energia creativa dei ragazzi espressa attraverso la musica e le prove di parkour, la sofferta esperienza della vita di borgata.
Si affacciano infatti continuamente, ai bordi di questo microcosmo scolastico, i percorsi esistenziali della periferia romana ed emergono con violenza inattesa i segni di un quartiere esposto ai ritmi dello spaccio, della disoccupazione e della delinquenza, in un costante, mai celato, contrasto tra il senso di un’innocenza da preservare senza vergogna e quello di una maturità obbligata che sembra premere con forza sulle vite dei giovanissimi protagonisti. Così, la lettura delle pagine di un fumetto disegnato da uno dei ragazzi per tradurre in vignette i gesti del suo compagno di banco affetto da mutismo selettivo si alterna alle accese conversazioni incentrate sui motivi e le possibili giustificazioni legate al traffico illecito di cocaina; gli impacciati, divertiti tentativi degli alunni di riprodurre con le proprie voci i toni delle arie liriche ascoltate in classe lasciano il passo alle inaspettate confessioni di problemi personali e familiari irrisolti.
Seguendo un tracciato narrativo dominato da un’esigenza di realismo totale, il film tende dunque a risolversi completamente nei volti imbronciati, le smorfie allegre e i gesti esuberanti degli studenti, attivando un ritmo cadenzato fatto di piccole cose, di ritorni e di rotture, scandito dal suono ricorrente della campanella e dai brani musicali classici – diegetici e non – che connettono simbolicamente le tappe della crescita dei ragazzi alle sezioni di una partitura.
Un ruolo parallelo, e altrettanto fondamentale, nel contesto dell’economia filmica è poi giocato dai membri del corpo docenti, illustrati nel costante tentativo di definire strategie comunicative sui generis, svincolate dall’eccesso di formalismo comunemente connesso all’istituzione scolastica e legate piuttosto a un’esigenza di immediatezza espressiva, a una necessità di connettere la didattica alle esperienze personali dei ragazzi. In un contesto in cui una battuta pronunciata in romano e una canzone strimpellata alla chitarra possono fare più effetto di una pagina del Manzoni, succede allora che il logo del celebre brand NIKE si trasformi nello strumento ideale per attivare una riflessione sul valore della scuola e dell’istruzione, che l’ascolto di un brano di Chopin funga da introduzione ideale all’illustrazione geografica della Polonia, che un’estemporanea spiegazione dell’etimologia della parola “persona” porti gli studenti ad aprirsi ai propri compagni e a far cadere il peso della propria corazza.
Aderendo alla realtà a cui si accosta senza strumentalizzazioni o messe in scena di secondo grado, Basileus dà vita a uno spaccato esistenziale di miracolosa, commovente intensità, capace di proporsi come ideale controcampo in presa diretta del Diario di un maestro (1973) di Vittorio De Seta, individuato proprio da Marinelli come sua principale fonte di ispirazione, di mescolare il candore allegro e scanzonato degli Anni in tasca truffautiani (1976) con la lirica e rigorosa analisi delle periferie urbane di Pasolini, di illustrare, prima di ogni altra cosa, la magmatica e magnifica umanità che domina le scuole di borgata, rovesciando un pregiudizio purtroppo diffusamente radicato attraverso un affresco trasudante di vitalità.