Babel/Giuseppe Provinzano – To play or to die
Mettere in scena l’Amleto diventa escamotage per una riflessione più profonda sul ruolo dell’attore e sulla situazione politica del nostro tempo. Per interrogarsi, infine, sul perché ci ostiniamo ancora a vedere e fare teatro.
“Ogni occasione è buona per mettere in scena l’Amleto” e nemmeno Giuseppe Provinzano se l’è lasciata scappare. D’altronde la gente vuole vedere Amleto forse perché conosce meglio la tragedia di Shakespeare che la situazione politica attuale. Queste le prime riflessioni dell’attore e regista di To Play or To Die, coprodotto dalla compagnia Babel, andato in scena nell’ambito dell’ottava edizione del festival Short Theatre. Provinzano allora, alla luce di queste considerazione, ci ridà Amelto ma a modo suo: senza Amleto (il personaggio shakespeariano infatti mai comparirà in scena). Spalleggiato da Chiara Muscato, sventra il testo, trasporta i personaggi nel nostro tempo, li lascia esprimere con mezzi e linguaggi della cultura contemporanea pop, li isola, li lascia interagire tra di loro, tutto secondo un’ispirazione che si rifà a chiaramente ad Hamletmachine di Heiner Müller. Quello di Amleto è dunque un escamotage per una riflessione più profonda sul ruolo dell’attore e sulla situazione politica del nostro tempo ma la storia, le vicende del regno corrotto di Danimarca, mai passano in secondo piano. Le redini della situazione vengono ben tenute salde da Provinzano che, come in una partita di scacchi, sa quando è il momento di fare la sua mossa e denunciare in maniera sottile, ironica, quasi timorosa e delicata. Facendo i conti con gli inconvenienti della crisi, i due attori in scena riescono a far apparire sul palcoscenico tutti i personaggi, ognuno dei quali porta il fardello di un inevitabile tragico destino: Orazio si fa fonico di palco, un cellulare sostituisce Polonio e una testolina bianca è Amleto. Vuole sfidare il destino Provinzano, e lo fa con i due cortigiani amici di Amleto, Rosenkrantz e Guildestern, che provano a dividersi per sabotare la tragedia.
E’ uno spettacolo strano il suo, qualcosa a cui lo spettatore non era preparato ma al quale riesce ad abituarsi con facilità e che si sforza di seguire nonostante le imperfezioni e gli ostacoli drammaturgici che gli vengono sottoposti. Scoperta interessante, che rende molto più semplici le cose, è Chiara Muscato, un’attrice che sa prestare il suo corpo e la sua voce alla scena, dimostrandosi versatile, passionale e beffarda.
Uno spettacolo jolly presentato a metà festival, una scelta sicuramente operata per caso ma che arriva al momento giusto, a metà cammino, quasi un modo per prendersi tempo, riflettere, tentare di capire, interrogarci sul perché ci ostiniamo ancora a fare/vedere teatro. Quello che a Provinzano preme infatti palesare è la, a dir poco, difficile situazione culturale italiana e lo fa in maniera esplicita nel prefinale che mette tutti spalle al muro e ci obbliga a rispondere ad una allarmante domanda: cosa accadrebbe se per un anno nel nostro paese non venisse più prodotta arte, cultura? D’altronde Ma chi lo fa più il teatro? Ma perché davvero ci sono ancora attori che fanno il teatro? Ma ci si campa ancora con il teatro? Che vita di merda!
Dettagli
- Titolo originale: To play or to die