Avey Tare – Eucalyptus
La “collettività” ha necessariamente bisogno di sviluppare una propria “singolarità”, indipendente dall’anima del gruppo di appartenenza. Questo è accaduto ai più svariati frontman: Neil Hastead degli Slowdive, Thom Yorke dei Radiohead e, nel nostro caso, Avey Tare (all’anagrafe David Portner) degli Animal Collective.
Il disco, uscito lo scorso luglio e intitolato Eucalyptus, è il terzo progetto solista del musicista statunitense (segue a Enter the Slasher House del 2014 e a Down There del 2010). Preceduto da un teaser in formato puzzle (si presti attenzione alla abbacinante, ma a tratti tetra, copertina), quest’album si presenta intessuto di sperimentazioni sonore che lambiscono, in statica scansione, i 15 pezzi di cui è composto. Melodie narranti improvvise e inattese separazioni (Melody Unfair), misteriosi ricongiungimenti in accordo ad un sound più gioioso e giocoso (Ms. Secret, il pezzo migliore del disco, è un mix di chitarre, coralità e parole di speranza – we gotta stay up til the sunrise explosion of sweetness), adrenaliniche devozioni alla musica (corroborate da trovate ironiche e pungenti), con strumenti che sembrano provenire dalle antiche civiltà africane (Jackson 5 – whip up a brew and it mix all the scents in/they spin around me in the sonic dimension/then I don’t want to sit and my body rejects it//frusta una birra e mescola tutti i profumi, mi spingono alla dimensione sonica/non voglio sedermi, il mio corpo si rifiuta). Non mancano allusioni (sbiadite e liquide) alla Björk di Vespertine (Season High) o alla Antony and the Johnson (PJ), rumori lo-fi posticci negli intermezzi Lunch Out of Order Pt.1 e Lunch Out of Order Pt.2, suoni deliranti e vorticosi (DR aw one for J, Coral Lords), ballate psychedeliche piene di pathos (In Pieces, Selection of A Place, dove vengono evocate le foglie di eucalipto – menzionate nel titolo – che galleggiano al sole inermi), esotismi poco brillanti (Roamer) e riflessioni disperate ed apocalittiche nella chiusa When You Left Me (when you flew from my eyes, I said oh well and I fell, any world can die//quando sei volata via dai miei occhi, ho detto ‘oh bene’ e sono caduto, ogni mondo può morire).
Sebbene possegga una intelaiatura compatta, questo disco si presenta rigido e vitreo, con rari momenti di emozionalità (Jackson 5 e Ms.Secret), complice anche la sovrabbondanza, talora sgraziata e superflua, delle suggestioni cui rimanda e l’anonimia di buona parte dei pezzi composti.