Gli Orizzonti d’Arte dischiusi dal mediterraneo immaginario
Un salto al festival Orizzonti d’Arte di Chiusi il 3 agosto, cullati dalle note mediterranee di Maurizio Baglini e Silvia Chiesa e immersi nel mare fiabesco e malinconico delle Metamorfosi di Fortebraccio Teatro
Le vacanze, per chi ama il teatro, possono ben conciliarsi con l’estate dei festival di performing arts italiani. Tra questi, scelgo di fare anche stavolta un salto a Orizzonti d’Arte, a Chiusi, che dal mare, forse, è quanto di più lontano si possa immaginare: terra di mezzo e di confine, quasi perfettamente equidistante dal versante tirrenico e da quello adriatico.
Eppure, tra le colline senesi il mare aperto lo abbiamo immaginato, toccato, ascoltato, grazie alla direzione per il secondo anno consecutivo di Andrea Cigni, sensibile e attento, curioso e aperto, che quest’anno ha scelto come tema portante cui ricondurre tutte le arti quello del Mediterraneo bacino di scambi culturali, crocevia di individui e animatore di tradizioni. MediTERRAnea2015 è stato, infatti, il titolo scelto per l’edizione da poco trascorsa.
Una voce malinconica sul tappeto sonoro del mare. Tra le note pronunciate dal pianoforte e dal violoncello toccati da Maurizio Baglini (Pisa, 1975; a 24 anni vincitore del World Music Piano Master) e Silvia Chiesa (brillante solista nota a livello internazionale) il 3 agosto, nella cornice del Chiostro di S. Francesco, è parso di ascoltare il rinfrangersi delle onde contro gli scogli, l’acqua che sulla riva ci bagna e accarezza con melodie eleganti e malinconiche, poi corpose e impetuose, che frenano dolcemente e poi fendono l’aria a un ritmo più sostenuto. Note rapide e scivolose, cupe e solari; una stella che va a riposarsi nel mare quel violoncello, che s’inabissava nelle acque del piano per risalire in superficie a prendere fiato lasciando a lui il terreno fertile per la ripresa. Il repertorio della serata ha spaziato da Francesco Cilea (Sonata in re maggiore per violoncello e pianoforte Op. 38) a Gaspar Cassadò (Suite per violoncello solo), da Ferruccio Busoni (Sonatina Super Carmen BV 284) a Camille Saint- Saëns (Sonata per violoncello e pianoforte in do minore n. 1 Op. 32).
Il 3 agosto abbiamo assistito anche al nuovo lavoro di Fortebraccio Teatro, Metamorfosi (di forme mutate in corpi nuovi), liberamente ispirato alla versione latina del mito degli Argonauti narrato nel libro VII delle Metamorfosi del poeta Ovidio. Lo spazio costruito da Roberto Latini è una sorta di limbo clownesco in cui si susseguono maschere grottesche ma familiari (come quelle di alcuni personaggi disneyani), forme non totalmente compiute e non del tutto estranee l’una dall’altra, richiamate tra loro da un dettaglio visivo come in un girotondo schnitzleriano. Queste figure ricordano i saltimbanchi dipinti da Pablo Picasso: non individui allegri e travolgenti nella loro spettacolarità, ma esseri imprigionati dalle paure del loro mondo, paura della morte, della fine; un messaggio che, anche se non trova conferma tra le sue possibili interpretazioni, risuona come autoreferenziale, e d’altra parte questo senso potrebbe essere rintracciato dalla presenza di un sipario sullo sfondo, che rimanda alla natura profondamente teatrale – propria della “visione”, stando alla radice del termine greco theaomai, “guardare” – di quanto accade. Lo spettacolo di Latini somiglia a una festa malinconica introdotta sotto il segno del suo astro prediletto, la Luna. Un ballo in maschera, lì dove anche le maschere hanno la loro origine nella parola latina persona, e da questo punto di vista non possiamo non leggere la metamorfosi come il processo, chiaramente spettacolare, che separa la maschera dall’individuo, il personaggio dall’attore. Qui si rivendica, infatti, il valore intrinseco del linguaggio teatrale, che – suggerisce Latini – si manifesta in una semantica e una grammatica autonome rispetto alle tradizionali logiche di comprensione del mondo. Nel tentare questo approccio, però, la sua regia si perde in una scrittura scenica dal carattere troppo intimista: il verbo ridotto ai minimi termini, le domande filosofiche che non trovano risposta, la dimensione rituale delle azioni, ne fanno un lavoro dotato di un linguaggio peculiare che, forse, andrebbe ancora ritestato in direzione di una maggiore chiarezza del rapporto tra prodotto e intenzioni. Uno spettacolo, insomma, per gli occhi e per i sensi, di certo non per la ragione, che pare a tratti compiacersi del suo ermetismo, ma di cui, allo stesso tempo, si riconosce il potenziale interessante per gli sviluppi di un’estetica che non ruoti attorno ai mezzi vocali e attorali dell’elemento solista.
Tra le belle iniziative ricorse quest’anno al festival chiusino, proposte di formazione e di scambio, di crescita e innovazione, non possiamo non citare il progetto editoriale ZENIT – quotidiano cartaceo di informazione e critica del festival – a cura della redazione della webzine TeatroeCritica (Andrea Pocosgnich e Viviana Raciti), che ha dato la possibilità a sei giovani di cimentarsi con il lavoro di una vera e propria redazione fatta di organizzazione, rispetto delle tempistiche, attenzioni, correzione di bozze e, naturalmente, scrittura critica, analisi degli spettacoli, interviste; trasformando gli incontri con gli artisti in esperienza di vita quotidiana, in dialogo ravvicinato, informale e sincero. E poi, in linea di continuità con l’operato dello scorso anno, Orizzonti ha riproposto Chiusiperferielab, per grandi e piccini, anche quest’anno con la compagnia Ca’ Luogo d’Arte e il suo teatro per ragazzi; il laboratorio di movimento scenico di Emanuele Soavi; quello curato da Ilaria Drago (Fortebraccio Teatro) intitolato “L’attore senza spettacolo”; così come ha avuto luogo l’incontro con Pippo Delbono e la proiezione del suo discusso film Sangue; e, ancora, la masterclass di canto lirico e interpretazione scenica con Tiziana Fabbricini.
Un’edizione, quindi, che anche stavolta ha stretto un contatto vivo con il territorio, in un’osmosi piacevole tra comunità e paesaggio (si pensi alle numerose performance incorniciate dalla sublime visione della natura, sul Lago di Chiusi), distinguendosi per il clima ospitale, ricreativo, che abbraccia tutti, giovani e meno giovani.
Il festival Orizzonti d’Arte rappresenta attualmente una di quelle occasioni in cui ci piace pensare di rincontrarsi e riuscire a fare ritorno anche l’anno prossimo. E l’altro ancora.
E l’altro. E ancora.