Ariano Folk Festival @ Ariano Irpino (AV)
Compie ventidue anni – puntuale come ogni Agosto – l’attesissimo appuntamento con la musica dei popoli, ovvero la world music dell’Ariano Folk Festival.
Dal 17 al 21 agosto la musica folk ha richiamato ad Ariano Irpino tanti appassionati da tutta Italia ed anche dall’estero affollando così, ancora una volta, le strade di un tranquillo comune arroccato sulla collina in provincia di Avellino. Un’accurata selezione di artisti da tutto il mondo ed un pubblico musicalmente maturo fanno la cifra stilistica della manifestazione e dimostrano che l’arte dei suoni costituisce il trait d’union tra le diversità culturali e geografiche di cui la musica folk è portatrice. Ne risulta quindi un’amalgama perfetta tra sonorità esotiche, balcaniche, tribali ed ascoltatori provenienti da ogni dove che spesso assecondano col ballo sonorità ad essi sconosciute ed applaudono a nuovi generi musicali ed artisti virtuosi, dediti ed appassionati nel far conoscere la propria tradizione. Così accade che qualcuno arrivi per ascoltare un’ artista in particolare e vada via portando con se’ la meraviglia di aver conosciuto un nuovo gruppo o un nuovo genere di cui magari cercherà di approfondirne la conoscenza.
Ecco, se proviamo a traslare questo discorso in qualsiasi altro ambito culturale potremmo addirittura arrivare ad immaginare un fenomeno di globalizzazione, dove per tale intendiamo un processo di diffusione su scala planetaria di tradizioni, tendenze ed atteggiamenti culturali che, in una tendenza all’adozione forzata e non-sense degli stessi, finiscono con l’appiattire identità locali e costumi antropologici. E’ evidente però che la musica in questo costituisce un’eccezione dal momento che gli scambi, ed addirittura le contaminazioni musicali, costituiscono una miniera culturale, un bacino di approvvigionamento nelle dinamiche di conoscenza reciproca e di incontro in una dimensione che costituisce patrimonio dell’umanità intera.
Per questo l’Ariano folk può essere considerato un crocevia di identità sonore e geografiche, dove la specificità diventa familiarità, mentre l’evento veste di autorevolezza un territorio tradizionalmente non vocato al turismo, nonostante le numerose attrattive archeologiche e paesaggistiche.
È d’altra parte evidente un certo livello di scollamento tra la tradizione del festival ed il supporto del territorio in termini di servizi e di ricezione del turismo durante i giorni della manifestazione. Poche e diradate le corse del trasporto pubblico che collegano la zona antica del paese, sede del festival, col resto del territorio, peraltro non servito da taxi. Impossibile pranzare presso ristoranti e bar in alcuni orari, come di domenica pomeriggio. Tutti chiusi. Lunghe quindi le file agli stand dell’area concerti con inevitabili disagi.
Più di tutto però, è possibile percepire una velata sensazione di distacco da parte di alcuni abitanti del posto. Molti la chiamano ancora la “festa della birra” (nome originario della manifestazione) e lamentano un cattivo livello di partecipazione da parte dell’amministrazione comunale, poco interessata, a detta di alcuni, al sostegno dell’evento. Altri lamentano della nuova collocazione dell’area concerti, probabilmente troppo vicina al centro abitato.
Tutto ciò rischia di rendere poco fruibili i numerosi eventi legati alla manifestazione, ma i numeri relativi all’affluenza ai concerti dimostrano che i disagi non hanno intaccato la qualità della proposta musicale.
Tanti i nomi legati allo scenario internazionale; molti quelli provenienti dall’America Latina che hanno accolto il pubblico durante la prima serata, come La Inedita dal Perù , i Puerto Candelaria dalla Colombia, La Yegros dall’Argentina. Grande attesa per il compositore nigeriano e maestro dell’afrobeat Orlando Julius che si è esibito insieme alla straordinaria band inglese degli Heliocentrics da sempre impegnata nella contaminazione di jazz, funk e ispirazioni africane.
Due i nomi italiani in programma per l’edizione 2017, e si tratta di nomi di eccellenza: il virtuoso batterista e clarinettista jazz Emanuele Urso e l’eclettico drammaturgo e compositore Moni Ovadia che si è esibito all’interno dell’auditorium comunale nello spettacolo Senza Confini, Ebrei e Zingari, insieme alla Moni Ovadia Stage Orchestra.
Quello di Ovadia è uno spettacolo che ripercorre la storia di due popoli senza terra accomunati dal tragico destino delle persecuzioni razziali e dalle discriminazioni. Ad accompagnare l’artista c’è la sua band composta da tre musicisti rom, Albert Florian Mihai, Marian Serban e Petre Nicolae, rispettivamente alla fisarmonica, al cymbalon ed al contrabasso e due musicisti italiani, entrambi al clarinetto. Ampio spazio alle acrobazie musicali degli strumenti che il pubblico accompagna con le mani per poi finire in corse a “perdiritmo”. Gli ascoltatori vengono letteralmente incantati dal virtuosismo degli artisti ed in particolare dagli assoli del cymbalon le cui esecuzioni hanno quasi del sovrannaturale. Di tanto in tanto il drammaturgo e cantante ebreo interviene con canti della tradizione rom come quelli scritti in lingua russa o nei campi di sterminio durante l’eccidio nazista e si spende in generose spiegazioni degli strumenti presenti sul palcoscenico, come il cymbalon, ai più sconosciuto, o il contrabasso a tre corde e ancora, raccontando aneddoti e storie legate al calvario storico di ebrei e rom. Il concerto si conclude con l’invasione degli strumenti che abbandonano il palcoscenico per attraversare la platea e raggiungere il foyer del teatro che ospita l’evento.
La serata ad Ariano si conclude con le note e le sonorità di Emanuele Urso, il giovane prodigioso jazzista che fa svuotare le strade del borgo per riunire un vasto pubblico di intenditori nell’area concerti. Circa dodici ore dopo, la stessa area è di nuovo gremita per il concerto del tedesco Shantel accompagnato dalla gitana Bukovina Orkestar, la cui musica fatta di sonorità balcaniche ed elettroniche carica di energia un pubblico che salta e balla sotto il sole di mezzogiorno e che di tanto in tanto viene innaffiato dagli idranti.
È la volta quindi di introdurre la serata del quarto e penultimo giorno, ed a questo ci pensa il gruppo inglese degli Ephemerals. Band affiatata, cantante statunitense, gli Ephemerals costituiscono un gruppo soul di tutto rispetto e lo dimostrano con un concerto che inizia e prosegue senza soluzioni di continuità, dove il cantante non risparmia l’ultimo filo di voce ed i musicisti con eleganza si accovacciano per bere un sorso d’acqua tra un pezzo e l’altro. Il soul si fonde con un pop raffinato e con la voce calda, a tratti graffiata, del cantante, il tutto immerso nelle luci del palcoscenico che tingono di rosso la scena rendendola magnetica e suggestiva.
La chiusura della serata è affidata invece alla musica ska mista a rumba catalana del simpaticissimo e numeroso gruppo spagnolo de Las Pegatinas che ondeggia da un angolo all’altro del palco ed intrattiene il pubblico con dei “fermo immagine” esilaranti per poi riprendere con uno scoppio di ritmo e di coriandoli sparati tra il pubblico come a voler celebrare un allegro commiato del festival.
Il giorno seguente l’Ariano folk ringrazia il pubblico con un evento off gratuito invitando la gente a partecipare all’esibizione dello spagnolo Dj Panko e dando appuntamento a tutti per l’anno seguente, auspicando possa verificarsi un maggior coinvolgimento (o riconciliazione) da parte delle amministrazioni locali, degli esercenti e degli abitanti del posto affinchè chi arrivi al festival per la prima volta possa godere di un evento diffuso e partecipato e non debba necessariamente sentirsi rispondere “Ah…il folk?”