Arti Visive

Antonio Riello – Ashes to ashes

Giorgia Tolfo

Al Salon Vert di Londra è esposta la nuova installazione dell’artista Antonio Riello, che ha come tema il libro

Cosa valutiamo in un’opera d’arte? Il suo processo di realizzazione o il prodotto che ne risulta? La risposta necessiterebbe di un’elaborazione articolata, ma nel caso della più recente installazione dell’artista Antonio Riello, Ashes to Ashes, esposta al Salon Vert (82 Queen’s Gate, London), essa è piuttosto evidente: l’uno e l’altro.

Antonio Riello, artista multimediale veneto, ha scelto infatti cento tra i suo libri preferiti e li ha bruciati, letteralmente bruciati (sentite l’odore?), per racchiuderne poi le ceneri in altrettante urne di vetro soffiato di Murano recanti le loro epigrafi. Ha bruciato Kafka, Platone, Maupassant, Joyce, Orwell, ma anche Adiga, Ghosh e Murakami. Ha bruciato tutto ciò che ha amato. Non è allora nel gesto rituale, nel sacrificio intellettuale che si trova il significato di una tale installazione?

Senza dubbio vi è un sottile fascino estetico che emana dalle cento urne allineate, eppure è il gesto sacrificale che sgomenta perchè v’è qualcosa in esso che esce dalle nostre prefigurazioni dei falò di libri: quello di Riello non è un atto politico, ma è un atto intimo, è una riflessione sul futuro del libro, più che su coloro che hanno deposto le parole sulle pagine. E’ una riflessione sull’oggetto ed il valore che esso ha per noi, più che sull’importanza che alcuni scrittori hanno su di noi.

L’intuizione scaturisce immediata di fronte all’urna di Fahrenheit 451: nel mondo di Bradbury i libri venivano bruciati perchè contrari alle ideologie del governo, idem in Germania durante il regime nazista (si veda il monumento ai libri bruciati a Bebelplatz) e durante il medioevo con l’Index librorum prohibitorum, in Ashes to Ashes i libri vengono bruciati per essere salvati. Vengono salvati dall’invasione del digitale proprio grazie allo sfruttamento di quella mania per il salvataggio della reliquia che contraddistigue i nostri tempi. Ecco allora che solo trasformandoli in cenere, che solo rendendoli illeggibili ma incastonati in preziose urne essi diventano degni d’essere salvati.

E’ un’opera tristissima quella di Riello, ma è anche provocatoria perchè, in fin dei conti, l’autore del falò è proprio lui e proprio lui è colui che dovrà trasformarsi nel libro vivente e parlante che popola le ultime pagine del libro di Bradbury.

Rimangono tuttavia due dubbi uscendo dalla sala: quale ordine ha guidato la disposizione delle urne sugli scaffali? E, soprattutto, cosa direbbe Walter Benjamin di questa azione? Se alla prima domanda non ho risposta, pur avendo chiamato in causa la libreria immaginaria di Italo Calvino che si crea e si adatta a seconda dei libri che vi inseriamo di volta in volta; per la seconda ho qualche idea. Forse Benjamin avrebbe visto nell’opera di Riello un tentativo di ricostruire l’aura perduta dell’opera riproducibile: se da un lato infatti la sua azione sembra inutile, giacchè le opere che brucia sono facilmente ritrovabili sugli scaffali di una qualunque libreria o biblioteca, dall’altro proprio l’unicità del gesto, pregno del significato intimista che egli ha infuso nelle opere e nelle ceneri, lo rende vitale e destinato a riportare l’oggetto nel dominio della tradizione, a renderlo insomma auratico.

A questo punto mi chiedo se, per amore dei libri, non dovrei forse iniziare anche io a scegliere i libri che più amo per distruggerli. 



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