Arti Performative

Antonio Latella // Natale in casa Cupiello

Marcella Santomassimo

Al Teatro Argentina, la celeberrima commedia natalizia di Eduardo De Filippo nella rivisitazione di Antonio Latella, su cui il dibattito è oramai acceso. Il pubblico non è convinto, ha bisogno di tempo per attutire il colpo delle deluse aspettative, ma gli applausi arrivano soprattutto per il cast


 

Come si affronta un classico del teatro, o in questo caso sarebbe meglio dire della letteratura, un testo facente parte dell’immaginario natalizio? «T’ piace ‘o presepe?», mio padre me lo chiede ogni santo Natale e la risposta, per esigenze di “copione”, o forse no, è sempre la stessa.

Cosa avrebbe detto mio padre se fosse stato qui, questa sera all’Argentina in prima fila accanto a me? Uomo cresciuto con le commedie di Eduardo apprezzandone sempre il lato comico e ironico, imparandone le battute a memoria, in maniera naturale ed automatica? Forse mi avrebbe sussurrato all’orecchio: «ma addò m’hai purtat’?».

Sì, perché i nostri padri, la vecchia generazione, a quell’immagine di Luca Cupiello e del suo Natale sono troppo legati e non gli basta che la stanzetta da letto gelida dove la mattina si sveglia la famiglia Cupiello venga descritta dalle didascalie; loro vogliono vederla materializzarsi sotto i loro occhi, come una sorta di bisogno rassicurante. Antonio Latella gliela nega, gliela porta via, costringendoli a guardare altro, a guardare oltre.

Un’enorme stella cometa sovrasta l’intero palcoscenico, le danno le spalle undici attori rigidamente schierati, bendati prima di prendere forma e vita. Al centro Federico Manetti è Eduardo scrittore e Luca Cupiello; la drammaturgia del testo avanza sotto le sue mani che continuano a scrivere senza interrompersi, sottolineando gli accenti gravi e quelli acuti come se negli accenti si racchiudesse la stessa azione emotiva. La recitazione passa attraverso vari livelli per dare più o meno risonanza a parole, momenti o singole frasi fino al lirico finale. Quello di Luca Cupiello è un parlare con toni forti, incazzosi, che non mettono in ombra la fragilità e l’umiltà del personaggio. Luca è alle prese con il suo presepe, deve essere il più bello di tutti gli anni e di tutto il vicinato, il presepe in scena non c’è ma nei nostri occhi prende forma, viene urtato da Concetta e distrutto da Ninuccia, la figlia maggiore “romanziera”, sposata per volere dei genitori con l’abbiente Nicolino, innamorata di Vittorio Elio con il quale ha intenzione inizialmente di fuggire. Gli equilibri familiari si alterano, barcollano e vengono distrutti. Ma Luca Cupiello non si rassegna: “mo’ miettete a fa’ ‘o presepe nata vota. Cominciamo da capo tutto”. ‘ È la voce di Eduardo che prende parte alla messa in scena. Latella non lo esclude, non lo teme, non è confronto o conflitto, è sguardo altro, è ricerca alla scoperta di un testo che abbiamo cominciato a dare per scontato, a ripeterlo, a vederlo assuefatti.

La rielaborazione prevede due atti e tre cambi scena; nel secondo cambio la stella scompare e un cocchio funebre s’impossessa di tutto lo spazio scenico. È trainato da Concetta, la Madre Coraggio che porta avanti con fatica il peso della famiglia e lo stesso Luca, che deve proteggere con un telegrafo senza fili del quale nulla deve capire. Volano animali giganti di pezza, entrano nel carro funebre, stramazzano a terra, inutile il tentativo di Luca di rianimarli, vano il tentativo di ricomporre il presepe, eppure nel terzo atto il presepe c’è, ne prende parte lui stesso. Nudo come un bambinello nella sua mangiatoia, o come il Cristo deposto circondato da donne nero vestite strette intorno ad una Concetta caravaggesca, dopo aver riunito la figlia con quello che crede essere Nicolino, può morire sereno nell’illusione della famiglia ritrovata. T’ piace ‘o presepe? La risposta di Tommasino trova un esito positivo, la sua ricerca è finita. Bisogna conoscere i propri padri fino in fondo prima di ucciderli. Forse c’è questo dietro il gesto di eutanasia che Latella fa compiere a Tommasino, un gesto simbolico alla fine della messa in scena. Che la ricerca artistica di Latella come regista coincida con quella di Luca Cupiello come padre e come uomo?

Un uomo con una scimmia di pezza in mano è rimasto tutto il tempo in disparte. È il tenore Maurizio Rippa, il dottore che nell’annunciare ai familiari il suo verdetto sulla salute del paziente lo fa con l’aria di Basilio nell’opera rossiniana “E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte va a crepar”. E viene in mente Eduardo in una battuta del Barone Andrea, protagonista di una famosa commedia scarpettiana: ma lo dobbiamo fare tutto questo Barbiere di Siviglia?

Il pubblico non è convinto, ha bisogno di tempo per attutire il colpo delle deluse aspettative, ma gli applausi arrivano soprattutto per il cast; da una meravigliosa Concetta di Monica Pisseddu, che lascia letteralmente a bocca aperta per bravura e tempi scenici, al protagonista Federico Manetti, passando per Lino Musella. E ancora Valentina Vacca (Ninuccia), Francesco Villano (Nicolino), Vittorio Elia (Giuseppe Lanino), Pasqualino (Michelangelo Dalisi), Raffaele (Leandro Amato), Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgia (Carmela, Rita, Maria).

Il dibattito, infine, è dietro il foyer.


Dettagli

  • Titolo originale: Natale in casa Cupiello

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